Addio Rumignani, l’uomo delle missioni impossibili

A 86 anni è scomparso a Lignano Sabbiadoro l’allenatore specialista in situazioni difficili. Popolare anche in Abruzzo: promozioni a Teramo e a Francavilla, storica salvezza in B con il Pescara
PESCARA. Se n’è andato un altro pezzo di storia calcistica. Un altro di quei personaggi che ha fatto epoca nel secolo scorso caratterizzando anche il calcio abruzzese. Addio a Giorgio Rumignani, 86 anni, scomparso ieri a Lignano Sabbiadoro piegato da una malattia che lo ha condizionato negli ultimi tempi. Se n’è andato un uomo di calcio che ovunque ha cercato di trasmettere valori legati allo sport, quali lealtà, gruppo e serietà. In Abruzzo ha ottenuto promozioni a Francavilla e a Teramo. Ma anche la salvezza in serie B conquistata a Pescara nella stagione 1993-94 equivale a una promozione per come era messa la squadra quando l’ha pressa in mano. Era un allenatore pratico. Badava al sodo. «Il catenaccio? Un’arte», amava ripetere. Le sue squadre non brillavano per la qualità del gioco o per lo spettacolo che riuscivano a esprimere. Erano efficaci, capaci di soffrire. Avevano uno spirito di gruppo invidiabile. Se c’era una mission impossible chiamavano Rumignani. E lui spesso c’entrava l’obiettivo. Non era Galeone, tanto per intenderci. Ma a modo suo anche l’uomo di Gemona del Friuli ha fatto la storia del calcio. Un padre per tanti giovani dell’epoca. Domani i funerali in forma privata.
Da calciatore. Era una mezzala. Dopo gli esordi con Portogruaro e Marzotto Valdagno nel 1960 è passato alla Sambenedettese, in B. È rimasto nelle Marche per due stagioni, contribuendo al raggiungimento di un settimo posto nella stagione 1960-1961, miglior risultato di sempre. In seguito una stagione al Cosenza, sempre in B e due nel Siena, in serie C. Nel 1965 è tornato in B vestendo la maglia del Pisa, prima di trasferirsi all'Arezzo, con cui ha disputato 70 partite in due stagioni, conquistando nella seconda la promozione nella serie cadetta. Ha chiuso la carriera nel Savona, in serie C, giocando in squadra con Marcello Lippi e indossando la fascia di capitano.
Da allenatore. Ha girato oltre venti club professionistici. Nel corso degli anni si è costruito la fama di allenatore adatto a situazioni particolarmente difficili, per motivi ambientali o di classifica, nelle quali ha mostrato doti di trascinatore. Ha iniziato nel Friuli, sulla panchina del Lignano, nel 1973, e successivamente la Milanese Libertas, in serie D. Nel 1976 a Messina, in serie C. Dopo una stagione di pausa per frequentare il Supercorso di Coverciano, ha ripreso l'attività allenando il Varese, in B (subendo il primo esonero), e quindi il Forlì e la Mestrina, con cui ha ottenuto la prima promozione nel campionato di C2 1981-1982 vincendo lo spareggio contro la Vigor Senigallia. Nelle stagioni successive cambierà squadra in ogni stagione, nella Lucchese (dove viene esonerato nonostante il primo posto in classifica), nel Teramo e nel Francavilla, con cui ottiene due promozioni in serie C1.
In biancorosso. Nel 2025 sono morti tre protagonisti della promozione della stagione 1985-86: prima Ercole De Berardis, il presidente, poi Sergio Di Federico, accompagnatore, e l’altra notte Rumi. A Teramo il tecnico friulano è stato di due occasioni diverse ed è tra i più amati dalla tifoseria. Memorabile il campionato del salto in C.
In giallorosso. Il presidente Emidio Luciani vuole la C1 e chiama Giorgio Rumignani, artefice della promozione del Teramo l'anno prima. In due anni missione compiuta. È il Francavilla di Ciappi, Profumo, Silvio Giampietro, Di Baia, D’Isidoro e Marcangeli. E poi... Nel 1987 è ritornato in B, alla guida del Barletta, che ha condotto a una salvezza da lui stesso definita miracolosa, dopo essere stato esonerato e poi richiamato. Subito dopo la salvezza di Barletta, è sceso in C1 a Palermo, con cui ha ottenuto un terzo posto tra numerose difficoltà, come l'impossibilità di giocare alla Favorita per i lavori di ammodernamento legati ai Mondiali di calcio, fatto che lo costringe a tenere gli allenamenti nel piazzale antistante allo stadio o sulla spiaggia di Mondello. Nel 1989 è stato chiamato da Gian Pietro Marchetti sulla panchina del Piacenza, retrocesso in C1 e con l'obiettivo del ritorno in serie B. L'avventura piacentina non è fortunata. E, tra l’altro, Rumignani è stato colto da una crisi ipertensiva dovuta allo stress. È tornato alla Sambenedettese, dove è rimasto per due stagioni conquistando la promozione dalla serie C2 nel 1991 e la Coppa Italia di C l'anno successivo. Nelle stagioni successive ha ripetuto l'impresa di Barletta, subentrando sulla panchina della Fidelis Andria, in B. Nell'estate 1993 a Pisa, lasciando la squadra prima dell'inizio del campionato, dopo un diverbio con il presidente Romeo Anconetani.
In biancazzurro. Poi, è stato chiamato ad allenare il Pescara, con cui ha ottenuto la salvezza. Corelli e Zucchini erano partiti male e Scibilia, dopo la parentesi Franco Scoglio, si è rivolto a Rumignani nell’anno dopo la retrocessione dalla serie A. Memorabile un pareggio a Firenze con i biancazzurri in inferiorità numerica. Era fine ottobre del 1993, Rumignani faceva il suo esordio sulla panchina pescarese. Dall'altra parte uno squadrone con Toldo, Pioli, Effenberg e Batistuta. «Una battaglia», ha raccontato, poi, il tecnico, «già nel primo tempo si contavano i feriti, con Dicara colpito alla testa e Loseto che perdeva sangue dopo uno scontro con un avversario. Quando l'arbitro fischiò il riposo mandai di corsa il massaggiatore nello spogliatoio per fargli togliere gli specchi, temevo che i miei, vedendo come erano ridotti, si spaventassero. Lottarono come leoni, per me fu una impresa visto oltretutto che finimmo la partita in nove per le espulsioni di Gaudenzi e Nobile. Quella salvezza conquistata col Pescara ha ancora un posto importante tra i ricordi più belli della mia carriera». In biancazzurro ha lanciato il portiere guardiese Morgan De Sanctis arrivato fino alla Nazionale. Lo stesso De Sanctis ha avuto modo più volte di ricordarlo. «Dico grazie a tutti e in particolare al primo, Giorgio Rumignani, che mi ha fatto esordire». Indimenticabile quel rigore neutralizzato a Vieri in quel di Francavilla.
Ancora in giro. Nel 1995 è sceso in C1, al Ravenna, con cui ha vinto il campionato; non riconfermato tra i cadetti, è passato al Monza (con il portiere Abbiati e Massimo Oddo), nel quale è stato sostituito da Luigi Radice, e poi è tornato a Palermo, dove ha subito un nuovo esonero. Nel campionato di serie B 1998-1999 è tornato sulla panchina della Fidelis Andria, senza evitare la retrocessione in C1. E in situazioni pressoché simili è subentrato alla guida di Reggiana, Ravenna, Benevento, Imolese e Foggia. È fermo nel 2002, quando a dicembre va ad Arezzo, senza tuttavia firmare un regolare contratto e inducendo la dirigenza ad interrompere il rapporto dopo un paio di mesi. Ha chiuso la carriera allenando la Sambenedettese, in Lega Pro nel 2009, e quindi per un breve periodo il Treviso, in Eccellenza. Poi, si è ritirato a Lignano.
Il ricordo. Roberto Cappellacci è stato un fedelissimo di Giorgio Rumignani. «A Teramo mi ha lanciato titolare nella stagione della promozione in C1», ricorda il 59enne tecnico di Tortoreto. «Poi, siamo stati insieme a Barletta, Palermo, Piacenza, Reggio Emilia e Andria. Uomo di grande integrità morale, capace di creare gruppo e di tenerlo vivo. Anche nelle situazioni più difficili o disperate sapeva trovare le parole per motivarti e stimolarti a dare il massimo». Giorgio Rumignani aveva inventato il cin cin. In pratica a pranzo o a cena in albergo iniziava a roteare con una mano il fazzoletto verso l’alto cantando cin cin. E tutti “dovevano” fare lo stesso, creando un gran caos in sala e regalando sorrisi a tutti. Gruppo, agonismo, spirito. Ma anche calcio, ovviamente.

