Braca, il mito di Giulianova tra Sivori, Altafini e Ranieri

In A col Napoli, un’istituzione a Catanzaro: a 81 anni vive a Cava de’ Tirreni
Paolo Braca ha appena compiuto 81 anni, è una leggenda del calcio abruzzese degli anni Sessanta e Settanta. Uno di quelli che è partito da Giulianova fino ad arrivare in serie A. Ha giocato con Sivori a Napoli e con Claudio Ranieri a Catanzaro. È il figlio di una tradizione calcistica giuliese che da sempre sforna talenti calcistici. Oggi vive a Cava de’ Tirreni (Salerno), pur mantenendo salde le radici abruzzesi. Con Giulianova, ovviamente. A Catanzaro è un’istituzione, avendo conquistato due promozioni in serie A. Da calciatore, perché la carriera da allenatore non è stata un granché: vuoi per scelta vuoi per attitudine. In questi giorni si trova sulle spiagge calabresi per trascorrere qualche giorno di vacanza e per una rimpatriata con gli amici giallorossi. Sì, perché a distanza di decenni l’amicizia resta intatta. Paolo Braca è figlio di un altro tempo e di un altro calcio, ma non è il tipo che cerca paragoni o vive di ricordi. Non è il tipo che dice: «Ai miei tempi…». Semplicemente: «Ho vissuto contesti diversi, epoche diverse».
La storia. E allora via a sfogliare l’album dei ricordi: «Sono nato nel 1944 a Giulianova. Zona via del Campetto. Avevo un fratello che oggi non c’è più. A Giulianova a quei tempi, ma anche adesso, si giocava solo a pallone, tutti i giorni in mezzo alla strada a La Rocca. Non c’erano i campi di oggi, solo strada. Lì ti facevi le ossa, altro che scuola calcio. Ore e ore con mezzi di fortuna. Un giorno mi invitarono ad andare al campo, un dirigente mi ha visto per strada e mi ha sollecitato. Io un po’ mi vergognavo, ero timido, ma sono andato. C’era Marcello Ianni, in quel gruppo. Ho esordito a 16 anni in serie D. Ho giocato qualche anno a Giulianova, esterno sinistro, tutto mancino, mai usato il destro. Poi, mi ha chiamato L’Aquila in serie C attraverso un conoscente. Tre campionati con i rossoblù, c’era il compianto Guido Attardi ricordo. A quei tempi il Napoli veniva in ritiro, in estate, all’Aquila. E abbiamo giocato un’amichevole durante la quale mi sono messo in luce e il club partenopeo mi ha acquistato. Non ricordo per quanti soldi. Mi pagavano vitto e alloggio e qualcosa di extra. Fine anni Sessanta. A Napoli c’erano Sivori, Juliano, Altafini. Ero la mascotte del gruppo, mi volevano tutti bene. A quei tempi ero un ragazzino ed ero io che dovevo correre anche per gli altri a difendere. Secondo voi tra me e Sivori chi doveva rincorrere gli avversari?».
L’esperienza napoletana. Braca in serie A, campionato 1966/67, in una delle squadre più spensierate che potesse calcare i prati verdi degli stadi, una squadra che si divertiva nella vita privata prima di allietare i napoletani nell’allora San Paolo. Il piccoletto giuliese si è ben integrato nell’allegra combriccola di Pesaola, Sivori, Altafini, Bandoni e Nardin, ma, in compenso, senza trovare molto spazio in campo e restare a lungo alle falde del Vesuvio. Era stato preso come ala sinistra di rincalzo, ma in quel ruolo era acerbo. Giocando in quella posizione non ha spiccato mai il volo perché davanti aveva Orlando, Altafini, Bean e Canè, gente che giocava sempre. Ha fatto, comunque, un filotto di sei partite consecutive, dalla seconda alla settima di campionato, in cui il Napoli ha inanellato quattro vittorie e due pareggi. È andato fuori squadra contro il Bologna quando Pesaola ha ripuntato sul tandem Orlando-Altafini. Con gente come Orlando, Altafini e Canè, come poteva trovare spazio il piccolo uccellino di Giulianova? Per lui solo 10 presenze a fine campionato, ma un solo gol proprio nella Capitale contro la Roma. È stato il killer in quella partita dell’ottobre 1966, sbloccando il risultato, su imbeccata di Totonno Juliano, con un bellissimo tiro all’incrocio che Pizzaballa ha visto solo partire. Era la terza vittoria consecutiva del campionato, altre ne dovevano arrivare ma, vuoi mettere, far gioire migliaia di napoletani in trasferta? Balli e canti mutuati dai dischi dell’epoca fino a sera, o’ ciucciariello salì in Paradiso. E lui, Paolino, quel gol in diagonale lo sogna ancora. L’estate successiva è passato alla Spal. Solo qualche mese e poi il ritorno a Napoli che l’ha girato al Catanzaro. La sua fortuna. Calciomercato diverso. Dopo due partite di campionato, infatti, la dirigenza spallina è tornata sui suoi passi: ha chiesto e ottenuto dal Napoli di Lauro Albertino Bigon e Gastone Bean, restituendo Paolo Braca. Il Napoli, pur di farlo giocare, l’ha girato al Catanzaro in serie B.
La bandiera delle Aquile. Da qui il giocatorino, che aveva trascorso un anno ad imparare alla corte di Sivori, è diventato uno dei re di Catanzaro insieme a Palanca, Zuccheri, Silipo, Maldera, Ranieri, Spelta e Mammì. Due promozioni in serie A, una con Seghedoni e Gianni Di Marzio. «Claudio Ranieri (l’ex allenatore oggi dirigente della Roma, ndr) è un amico mio, ci vediamo spesso», racconta Braca che con le Aquile progressivamente ha cambiato ruolo: da esterno a mezzala per poi diventare centrocampista centrale. Ha sposato la signora Vera, anche lei giuliese, ed è diventato padre di due figli, Domenico (detto Nico) e Simone. A Catanzaro ha collezionato 244 presenze e 10 reti in campionato, 27 presenze e 1 rete in Coppa Italia, 3 presenze negli spareggi promozione, partecipando a due delle tre promozioni in A. Dal 1967 al 1977. Un brutto infortunio lo ha tenuto lontano dal campo a partire da novembre 1968 fino ad aprile del 1970, ma è riuscito comunque ad attestarsi al quarto posto assoluto nella classifica di calciatore più presente nella storia del Catanzaro. Il calcio lo ha portato a Cava de’ Tirreni dove ha vinto il campionato di serie C con Santin in panchina. «Per svariati motivi sono rimasto a vivere a Cava. Mi sono fatto male, spaccati tibia e perone nel 1977. A 38 anni ho appeso le scarpe al chiodo». E la carriera di allenatore? «Il pallone è sempre stato nella mia vita, ma io ho vissuto tutto un altro calcio, un altro contesto. Non sono uno che critica. Ho fatto allenatore, ho lavorato per la federazione. Poi, ho avuto altre esperienze. Ma io e il Sistema non ci siamo presi». E ora? «Faccio il tifo per il Napoli, mi fa piacere vedere il Catanzaro. E Giulianova è Giulianova, certi colori ce l’hai nel sangue. C’era la mia famiglia, ci sono i miei affetti. Amici come Giorgini, quando torno ci vediamo sempre». A Catanzaro ha fatto da chioccia a Massimo Palanca. «Era un fringuellino quando è arrivato, era spaesato. Da Camerino alla Calabria, l’ho preso sotto la mia ala protettiva a Catanzaro. Tecnicamente un fenomeno, al di là dei gol da calcio d’angolo. Come calciava lui la palla nessuno mai. Ma era fragile fisicamente». Palanca, ma non solo. «Mi sono trovato bene con tutti, ma con i giocatori del vecchio Catanzaro l’amicizia è rimasta nel tempo. Claudio Ranieri, Palanca, Nicolini, Silipo, Adriano Banelli e il compianto Pellizzaro». Rimpianto? «Ho giocato in A, cos’altro dovevo chiedere al calcio e alla vita? No, però, quando vai via dal Napoli è normale che ti dispiaccia. Ma avevo davanti Sivori e Altafini… Non mi lamento, mi sono divertito con il pallone».