Calcio amarcord

Cantagallo para i ricordi: «Capello? Era già leader a 16 anni»

29 Dicembre 2025

La storia di Gabriele Cantagallo, il portiere pescarese in serie A con la Spal negli anni ’60 in una squadra di stelle. Dalla Primavera al debutto contro la Roma nel 1965. Epica la sfida contro il Milan di Rivera. La grande amicizia con Galeone

Sessanta anni fa debuttava in serie A contro la Roma a 22 anni. Oggi, con quasi 83 primavere sulle spalle, per il pescarese Gabriele Cantagallo il calcio è un ricordo lontano. La sua quotidianità è riempita da altro: famiglia (la moglie Lorenza è ferrarese doc, mentre il figlio Massimo - steward per la compagnia aerea Virgin - vive a Londra), passeggiate nella “sua” Ferrara e volontariato nella biblioteca Ariostea, in cui accompagna studenti e scolaresche nelle visite alla tomba di Ludovico Ariosto.

I tempi in cui volava da un palo all’altro della porta della Spal sono tutti racchiusi nel libro dei ricordi. Ma quelli sono difficili da parare e ogni tanto tornano a farsi vivi. Soprattutto quando, la domenica, Cantagallo corre allo stadio “Mazza” per veder giocare la sua ex squadra (oggi si chiama Ars et Labor Ferrara e milita in Eccellenza dopo il fallimento dell’estate scorsa).

Ma riavvolgiamo il nastro. Tutto è iniziato alla fine degli anni ’50 a Pescara per Gabriele, nato a piazza Duca e gioiellino sui campi cittadini con la società della famiglia Iannascoli. Ancora adolescente, viene chiamato a giocare titolare in Promozione dal Piano d’Orta. Due stagioni gli bastano per mettersi in luce e ricevere inviti da club professionistici per essere visionato.

«Mi piaceva giocare in attacco, ma non beccavo mai un pallone, così iniziai a stare in porta...», racconta Gabriele Cantagallo, «A 16 anni andai a Ferrara per un provino: dopo una prima selezione, fui richiamato assieme ad un altro ragazzo. Quel giorno pioveva a dirotto, mentre ero in porta a centrocampo c’era un signore che osservava in silenzio sotto un ombrello. Finito il provino, chiesi al mister chi fosse quell’uomo. E lui mi disse: “Come? Quello è il presidente!”. Mi chiamò proprio lui e mi disse: “Bravo, vai in sede e firma, ti prendiamo! Sei contento?”. Ero emozionatissimo: “Certo”, risposi. E da quel momento cambiò la mia vita».

È il 1961, ha 16 anni e si trasferisce a Ferrara. Nel convitto della società assieme ad altri ragazzi della squadra De Martino (l’attuale Primavera) per farsi le ossa. Nella seconda stagione ferrarese, in stanza con lui arriva un giovanissimo centrocampista del Friuli: Fabio Capello, pagato all’epoca due milioni di lire. Saranno compagni di squadra fino al 1967, anno in cui Capello viene ceduto dalla Spal alla Roma per la cifra monstre di 260 milioni. «Ragazzo e giocatore di rara intelligenza: capiva di calcio, era davvero forte. Dormiva con me, aveva solamente 16 anni, ma comandava lui: un carattere eccezionale, un leader. Io, che ero più grande di tre anni, gli ho dato una mano a inserirsi, ma lui già mostrava i tratti del predestinato. Non mi meraviglia la grande carriera che ha fatto». Alla Spal con lui anche Edy Reja (ex allenatore del Pescara e ct dell’Albania). «Un bravissimo operaio, un bel mediano. Ma senza la qualità dei vari Massei, Capello e Bagnoli non sarebbe emerso».

Cantagallo arriva in prima squadra a 21 anni e fa parte della promozione in serie A guidata da Petagna. Pochi mesi dopo, la gioia del debutto nell’olimpo del calcio: «Vincendo contro la Roma, in trasferta», racconta citando lo 0 a 2 dell’Olimpico del 12 settembre 1965 (entrato in campo dopo che l'allora titolare Bruschini si era infortunato), «Forse la mia partita più bella, ma ne ho fatte anche altre memorabili. A San Siro, ad esempio, contro il Milan di Rivera, che fu mio compagno al servizio militare. Mi segnava sempre e anche quella volta ci riuscì, ma senza battermi: finì 1 a 1 e parai - quasi - tutto».

Il sogno della serie A di Cantagallo dura tre stagioni, poi arriva la doppia retrocessione fino alla C tra il 1967 e il 1969: «Fu terribile. Provate a immaginare che clima che c’era in città, molto simile a quello dell’estate scorsa... A quel punto il mio tempo a Ferrara era ormai finito e ho deciso di andare via». Il cammino del club estense è ripartito in terza serie tra ritorni in B e nuove cadute, fino alla gloria ritrovata solamente dopo mezzo secolo, nel 2017.

Anche il percorso di Cantagallo ricomincia dalla C, ma a Rovereto: «Andavamo sempre in ritiro lì e mi conoscevano, il presidente mi volle e accettai volentieri. Dopo una stagione, andai a Trieste con Petagna, con cui avevo vinto la B a Ferrara. Abbiamo vinto subito la serie D e siamo saliti in C». Tre anni dopo, il ritorno in Abruzzo. «A Chieti, ma mi sono rotto il tendine d’Achille. Sembrava dovessi smettere di giocare per colpa di un intervento chirurgico sbagliato fatto all’ospedale di Pescara. Fortunatamente l’estate successiva ho superato le visite mediche e ho ricominciato con il Banco di Roma, sempre in D: abbiamo vinto il campionato e sono rimasto con loro per lavorare in banca e giocare in C2».

Roma è l’ultima tappa della carriera, fino alla soglia dei 40 anni, nel 1981. Poi solo una parentesi da preparatore dei portieri a Francavilla in serie D. «Me lo chiese l’amico Bertuccioli, ex compagno di squadra nella Spal, ma avevo scelto di vivere a Ferrara con la famiglia e quindi ho lasciato il calcio».

Il calcio non gli piace più come una volta... «Prima era tutto diverso, c’erano giocatori molto più tecnici. Era un altro gioco. Oggi è molto più veloce, ma prima era più bello da vedere. Io lo seguo ancora e vado a vedere ogni domenica la Spal. Il fallimento? Dispiacere più grande non poteva capitarci. Prima gli americani, adesso gli argentini. Per affetto vedo le partite, ma non lo seguo con l’affetto di una volta: mi sono allontanato».

Le giornate le passa in biblioteca. «Sto lì, seguo i ragazzi. C’è la tomba dell’Ariosto. Ogni giorno decine di persone vengono a visitarla. È piena di giovani che vengono a studiare. Per un periodo sono andato anche a cucinare alla Caritas. Preferisco stare in mezzo alla gente, parlare con tutti e darmi da fare».

C’è ancora spazio per la sua Pescara? «La mia famiglia è a Pescara, ho una sorella, Eva, che mi ospita ogni estate: al mare vengo lì, non ci sono paragoni con nessun altro posto».

Non ha mai giocato con il Pescara: «Lo seguo da sempre, ma sono un po’ dispiaciuto e non m’interesso più come un tempo. Non dico la A, ma almeno una B di buon livello potrebbe farla tranquillamente».

Un legame con Pescara è stato quello a doppio filo con Giovanni Galeone: «L’ho conosciuto nelle tante sfide tra Triestina e Udinese, quando ero a Trieste. Spesso c’invitavano in tv e ci si incontrava. Poi a Pescara ci siamo ritrovati. Un’amicizia sincera e non solo calcistica: era una bellissima persona».

C’è un portiere che oggi ricorda Cantagallo? «No. Vede Donnarumma? A me non piace. Ma perché era tutto un altro modo di parare, il nostro. Io, ad esempio, non so calciare. Oggi invece i portieri devono saper giocare con i piedi, altrimenti non vengono neanche considerati. Una rivoluzione totale del ruolo. Le parate di un tempo non si vedono più. I guanti? Erano un lusso, forse solo con la pioggia o con la neve li indossavamo. Io li tenevo in porta, ma preferivo giocare a mani nude. Il pallone era tutto cuoio, oggi invece sono tutti sintetici».