Il calcio secondo Bruno Conti: «Mancano tecnica e dribbling»

A 70 anni lavora ancora nel vivaio della Roma; martedì e mercoledì sarà in Abruzzo, testimonial del Gran Padel Show a Ortona: «La Coppa Campioni unico rimpianto»
A 70 anni Bruno Conti resta un uomo simbolo del calcio italiano. Una bandiera della Roma - prim’ancora di Francesco Totti - amata da tutti, oltre le barriere del tifo. Uno scudetto con i giallorossi e il trionfo ai Mondiali del 1982 in Spagna; soprattutto l’uomo dei dribbling, il più brasiliano tra i calciatori espressi dall’Italia calcistica; uno dei giocatori più dotati sul piano tecnico arrivato fino alla maglia azzurra della Nazionale. Oggi si occupa di giovani, sempre alla Roma, dopo che ne ha cresciuti due - i figli Daniele e Andrea - in casa a pane e pallone. Martedì sera e mercoledì pomeriggio sarà prima a Pescara e poi a Ortona per la seconda tappa del Solur Padel in località Fontegrande. Una manifestazione denominata Gran Slam Padel Show a cui prenderà parte anche Roberto D’Aversa, l’allenatore di calcio pescarese appassionato di padel. Bruno Conti non gioca , ma è associato a questa disciplina sportiva attraverso la sua struttura, il Conti Sport City ad Anzio, che offre sia campi da padel che la sua scuola calcio, la Conti Football Academy. Bruno Conti - anche detto MaraZico negli anni Ottanta - sarà in Abruzzo la prossima settimana. Nel frattempo parla con il Centro.
Bruno Conti, ora che cosa fa nella vita?
«Lavoro nella Roma. Sono responsabile tecnico dell’attività di base. Mi occupo delle formazioni e delle attività dall’under 10 e all’under 14».
Si parla tanto di settori giovanili nel calcio italiano.
«Noi ce la mettiamo tutta. E in termini di risultati e, soprattutto di formazione dei ragazzi, abbiamo ottenuto risultati eccellenti».
11 luglio 1982 a Madrid. Può raccontare la vigilia della finale della Coppa del Mondo?
«Eravamo carichi. Avevamo battuto Brasile e Argentina, le favorite. Poi, con la Polonia il successo è venuto quasi fisiologico. Sudato, sofferto, ma ci vedevamo in finale, non potevamo fallire. E sapevamo che avremmo avuto di fronte una grande Germania. Quel pomeriggio? No, io e Tardelli per tutti eravamo dei coyote. Non dormivamo la notte figurarsi il pomeriggio quando sai di dover giocare la finale della Coppa del Mondo....».
Quello scopone con Zoff, Bearzot, Causio e Pertini sull’aereo di ritorno da Madrid chi lo vinse?
«Pertini con Zoff. Pertini era una persona alla mano come tutti, non sembrava il presidente. Era di una simpatia unica».
Ci può spiegare l’evoluzione del calcio dagli anni Ottanta ad oggi?
«Bella domanda! Diciamo più tattico, più fisico che tecnico. Oggi mancano giocatori da uno contro uno, quelli in grado di dare spettacolo e accendere i tifosi. Penso che sia la differenza sostanziale, anche se poi ogni cosa va contestualizzata».
Il miglior calciatore che l’ha marcato?
«Claudio Gentile (terzino della Juventus, ndr) mi faceva soffrire. Un cagnaccio. L’ho affrontato tante volte. Poi, dopo che ha annullato Zico e Maradona ai Mondiali di Spagna, gli ho perdonato tante cose che mi faceva negli scontri diretti in campionato».
Il miglior allenatore che ha avuto?
«Nils Liedholm mi ha dato tutto, mi ha insegnato il calcio. Mi ha fatto capire che il calcio è sacrificio. Io ero bravo a giocare a pallone, ma il calcio è anche fase di non possesso. E’ anche rincorrere l’avversario e recuperare il pallone».
Lei è stato compagno di squadra del portiere giuliese Franco Tancredi…
«Grande Franco Tancredi, il nostro numero uno. I rigori che parava, tanti. Grande campione e grande uomo».
E poi ha visto crescere l’abruzzese Eusebio Di Francesco come allenatore…
«Io di Eusebio ho una stima immensa e siamo legati da un’amicizia incredibile. Con lui ho rapporti continui, ho buoni rapporti con tutta la famiglia».
È l’anno buono per lo scudetto a Roma, sponda giallorossa?
«Non lo so, me lo auguro. Il campionato è molto equilibrato, basta guardare la classifica».
C’è un giocatore in cui si è rivisto nel corso degli anni?
«Difficile fare paragoni, mi piace Nico Paz del Como. Grande tecnica, è un giocatore che mi fa divertire».
Due stagioni nel Genoa da giovane e poi sempre giallorosso: qual è l’offerta indecente che ha rifiutato per lasciare la Capitale?
«No, non c’è stata nessuna offerta vera e propria. Sapevano tutti che non mi sarei mosso da Roma per nulla al mondo. Anche se…».
Anche se...
«Ogni volta che c’era un Roma-Napoli, Diego Maradona mi abbracciava e in un orecchio mi diceva: “Devi venire a giocare con noi, devi venire a Napoli”. Ogni volta».
Quanti giocatori da dirigente della Roma ha mandato in Abruzzo?
«Tanti. Mi vengono in mente i nomi di Caprari, Verre, Politano. Tanti ragazzi cresciuti da noi, ne dimentico altri. Ho avuto e ho un grande rapporto con il presidente Sebastiani, tra di noi c’è una stima incredibile. Auguro a lui e al Pescara tutto il bene possibile. in primis di restare in B. Ringrazio lui, Daniele, e Roberto D’Aversa per ospitarci nell’impianto di loro proprietà (in realtà è del Comune che l’ha dato in gestione, ndr) a Ortona».
L’affare qual è stato?
«Beh, Matteo Politano sta facendo bene ancora oggi a Napoli. Ma, ripeto, tanti ragazzi hanno fatto il percorso Roma-Pescara. Tutti bravi e meritevoli».
I figli, Daniele e Andrea, nel calcio. Chi ha sofferto di più lei o loro?
«Loro perché portano dietro un cognome pesante nel mondo del calcio. Ma devo dire che negli anni mi hanno regalato grandi soddisfazioni. Sono fiero».
Tra Coppa del Mondo con l’Italia e scudetto con la Roma che cosa sceglie?
«No, non scelgo. Sono due trionfi diversi e incredibili. Lo scudetto è il sacrificio di un anno, il Mondiale quando lo vinci ti porta ad essere conosciuto ovunque. Oltre, ovviamente, alla soddisfazione per essere campione del mondo. È il sogno di tutti i bambini».
Se le dico 30 maggio 1984 a che cosa pensa?
«Abbiamo perso la finale di Coppa dei Campioni all’Olimpico contro il Liverpool ai rigori. Un’occasione irripetibile di vincere la coppa per club più ambita davanti al proprio pubblico. E io ho sbagliato uno dei due rigori, ma nel calcio e nella vita c’è anche questo. Un’enorme delusione. Forse l’unico vero rimpianto della mia carriera. comunque foriera di soddisfazioni».
Oggi Bruno Conti con quale modulo verrebbe valorizzato maggiormente?
«In un 4-3-3, attaccante a destra. Senza presunzione, ma credo che anche nel calcio di oggi troverei spazio».
©RIPRODUZIONE RISERVATA

