Junior: questo calcio è rovinato dai soldi/ Foto: Junior in visita al Centro

L'ex campione del Pescara: «In Italia comandano i procuratori e in Brasile i fondi di investimento: non ci sono più i dirigenti di un tempo»

PESCARA. Andò via da Pescara 24 anni fa, ma il filo che lo lega alla città non si è mai spezzato. Eccolo di nuovo, come ogni estate, Leo Junior sulla spiaggia del Corallo. Pochi giorni, ma per lui è come stare a casa, con gli amici di un tempo, i tifosi che non lo hanno mai dimenticato, sorridente e disponibile per una foto, un autografo, magari anche per un paio d'ore da passare a parlare di calcio, naturalmente a tuttocampo. L'album dei ricordi lo apre l'arrivo di Rocco Pagano, capitato a sorpresa nello stabilimento balneare della riviera sud. Si abbracciano, ad entrambi brillano gli occhi pensando a quel Pescara-Juve che decisero in tandem. Un gol a testa, i bianconeri in ginocchio all'Adriatico, una delle pagine più belle della storia biancoazzurra. «La verità», attacca Leo, «è che qui sono stato benissimo fin dal primo giorno. La serie A non la conosco, mi disse Galeone appena arrivai, mi devi dare una mano. Apprezzai la sua umiltà, capii subito che saremmo andati d'accordo, così come mi caricò ulteriormente di responsabilità Gasperini che rinunciò alla fascia di capitano ritenendo che mi spettasse di diritto. Era un altro calcio, si viveva meglio anche il rapporto con i tifosi e con la stampa, c'era rispetto per la privacy, lì in mezzo al campo di presunti fenomeni se ne vedevano pochi…».

Affonda subito il dito nella piaga e lo fa senza girarci intorno: «L'ambiente si è deteriorato, si dice così? Parlo in generale del calcio in Italia, in Brasile o in ogni altra parte del mondo. I dirigenti non sono più quelli di una volta, dopo la legge Bosman è cambiato tutto e questo mi dà un fastidio tremendo. Comandano i procuratori che riescono a bloccare anche ragazzini di 12 o 13 anni, il che, credo, che sia peggio del vincolo contrattuale che esisteva ai miei tempi. Allora era anche impensabile mandar via un allenatore dopo due o tre partite, oggi questo è quasi la norma. Guarda quello che è capitato a Gasperini: un paio di mesi all'Inter e subito l'esonero; quest'anno a Palermo licenziato, richiamato e buttato di nuovo via. Dov'è il progetto? In Brasile c'è anche questa storia dei fondi di investimento per il controllo dei calciatori. Lo capirei se interessasse solo i giovani, ma che investimento è se riguarda anche un giocatore di 28 anni? E' solo speculazione, è la scelta che poi crea i presunti fuoriclasse e a rimetterci sono solo le società. Non capisco, se ci penso divento matto».

Il Brasile, però, resta una miniera d'oro: «E' vero, questa è una fabbrica che non finisce mai di tirar fuori giocatori di talento. Il più forte di tutti? Senz'altro Neymar, e se è arrivato a sfondare lo devo soprattutto a suo padre che ha creduto in lui quando aveva appena nove anni. Non lo ha mai lasciato solo, ancora oggi gli sta vicino. Sì, Neymar farà benissimo anche a Barcellona, non avrà nessun problema con Messi, lo aiuterà anzi ad essere ancora più forte. E' un ragazzo con la testa a posto, giocherà per il collettivo più che per se stesso, come del resto ha fatto nella Confederations Cup. Ha messo il suo talento al servizio della squadra come gli chiedeva Scolari ed è riuscito a fare la differenza. Anche per questo sono convinto che il Brasile avrà un ruolo da protagonista nei prossimi Mondiali".

La Confederations Cup è stata anche caratterizzata dalla contestazione, quasi una rivolta popolare contro sprechi e decisioni sbagliate dello Stato: «Beh, al di là degli eccessi che in alcuni momenti hanno creato un clima di esasperata tensione, credo che il movimento abbia ottenuto anche risultati concreti e importanti con il suo impegno. Il calcio era una vetrina, l'hanno sfruttata per tirar fuori problemi reali del Paese, spingendo il governo anche a fare marcia indietro su alcune questioni, come, l'aumento del 20% dei biglietti del bus».

Torniamo ai talenti. Qualche anno fa lei è stato il primo a parlare con entusiasmo di un giovanissimo Kakà: «Lo segnalai anche a Moggi che era stato mio direttore al Torino ma non mi prese sul serio. E lo stesso fece quando gli consigliai uno sconosciuto Gilberto Silva che poi sarebbe diventato un grande centrocampista. Oggi mi piace Bebeto, il figlio dell'attaccante che faceva coppia in Nazionale con Romario. Mancino, mezz'ala classica, più portato per l'assist che per il gol. Ha 19 anni, ha tutto per sfondare. E un altro sul cui talento non ho dubbi gioca già in Italia: è Vitor Saba, centrocampista del Brescia che ho visto crescere nel Flamengo».

Parliamo di giocatori italiani: Balotelli? «Ha carattere, personalità da vendere, credo che le sue doti calcistiche siano enormi. A volte va fuori giri? Ma chi può dire cosa si porta dentro di esperienze che certo lo hanno segnato? Bisogna essere forti e poi preferisco uno così piuttosto che quelli che accettano tutto. Dell'Italia, poi, mi ha colpito Candreva. Non lo conoscevo, nella finale per il terzo posto è stato il migliore in campo, può essere una soluzione importante per Prandelli».

In Italia intanto domina la Juve: «Lo dissi tre anni, sapevo che lo stadio di proprietà avrebbe segnato una svolta, garantendogli risorse economiche da investire sulla squadra. Oggi la Juve è di nuovo quella di sempre anche se non basta ancora per mettersi sullo stesso piano delle più grandi squadre europee. La differenza è tecnica. Ai miei tempi arrivavano in Italia i più grandi campioni, oggi sono solo di passaggio, vanno a lavorare all'estero anche gli allenatori migliori. Il Bayern, tanto per fare un esempio, più che una squadra è una Nazionale, la differenza la fanno gli stranieri di talento».

Il Pescara intanto è tornato in B: «Ma spero proprio che riconquisti in fretta la massima serie. Due anni fa, col Torino e i biancoazzurri promossi per me fu una festa doppia; la prossima estate, quando tornerò, mi auguro di poter rivivere quei momenti. La città se l'aspetta e lo merita per il calore che riesce a garantire ai giocatori. Qui non puoi risparmiarti, se dai il massimo ottieni gratificazioni incredibili. Al Pescara consiglio di curare il settore giovanile, è lì che nasce l'anima e la forza di una squadra. Al resto devono pensare giocatori d'esperienza che siano di esempio in campo e fuori. L'esperienza però la devi saper usare: io oggi mi rivedo in Seedorf che sta facendo al Botafogo quello che mi riuscì a Pescara in quelle due fantastiche stagioni».

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