Marco Sansonetti: la mia serie A tra Chieti, Inter e Napoli

Dal River al vivaio nerazzurro, l’esordio allo stadio San Paolo e il trionfo all’Aquila: ecco la storia del portiere nato a Chieti il 28 gennaio 1965
Gianni Marco Sansonetti è un libro aperto. A 60 anni si trascina tanti di quegli aneddoti legati al mondo del calcio da scriverci un libro. Dritto e mai banale. L’ex portiere di Chieti oggi vive ad Arezzo e allena la locale formazione di calcio femminile militante in serie B. Teatino del borgo Orsini «un gruppo di case tra il cimitero e il carcere». Quartiere Sant’Anna. A Chieti ci sono ancora la mamma e il fratello Fabrizio, ex centrocampista oggi imprenditore edile. Marco («a 17 anni ho scoperto di avere un secondo nome, Gianni») Sansonetti ha all’attivo tre presenze in serie A, tutte con il Napoli post Maradona. Anni Ottanta. Ma alle spalle ha, soprattutto, l’esperienza all’Inter. L’Inter del compianto presidente Ernesto Pellegrini e del ds Giancarlo Beltrami. «Ho giocato e visto tanti di quei campioni che faccio fatica a dire qual è stato il più forte». All’attivo anche tre promozione, di cui una C1 con L’Aquila.
I primi tuffi. Anni Ottanta, primo tesseramento al River 65 con cui vince il titolo nazionale Allievi in una squadra in cui brilla anche il centravanti Marco Pacione. Conquista anche il Trofeo delle Regioni con la rappresentativa Abruzzo. «Si giocava per strada», racconta, «due pietre per fare i pali. Tanto agonismo e via fino a quando non scendeva il buio. Io mi sono ritrovato in porta perché a casa facevamo i tiri con mio fratello Fabrizio e a me piaceva tuffarmi». Al River 65 con Giovanni Mincarini. Provini su provini fino a quando Franco Capitanio, osservatore del ds dell’Inter Beltrami, lo nota e lo segnala al club nerazzurro. Che lo prende. «Gioco nella Primavera con il compianto Enrico Cucchi, ma mi faccio male. Perdo un anno per un problema al ginocchio». Quando rientra, però, fa bene. «Ho vinto un titolo italiano Berretti con l’Inter, vincendo a Napoli e parando un rigore decisivo nella finale di Soccavo». A 19 anni inizia il tour dei prestiti gestiti dall’Inter: un anno in C2, a Imperia, con il tecnico che aveva avuto nella Primavera nerazzurra. «Primo stipendio 800mila lire al mese più vitto e alloggio», ricorda ancora oggi. Poi, a Siena, in C1. Nel frattempo, fa il torneo di Viareggio con l’Inter e lo vince con Mandelli, Minaudo e Manicone. Poi il militare, il Car a Barletta. E, soprattutto, la chiamata di Franco Scoglio a Messina, in B. «Esordio contro il Bari, 0-0 al Celeste pieno di gente. Qualche settimana e di colpo Scoglio cambia atteggiamento. E dopo il fallimento del Palermo prende Paleari e mi dà il benservito, dicendo che aveva bisogno di un portiere presente a Messina. E io gli dissi: ma quando mi hai preso non sapevi che ero militare? Sta di fatto che mi rimanda a Milano. Nessuno se ne abbia a male. Ma quell’episodio ha condizionato in negativo la mia carriera. Scoglio mi ha rovinato». E così si torna all’Inter. «Ero il terzo portiere. Zenga e Malgioglio davanti a me. A un certo punto convinco Trapattoni a cedermi. Volevo andare al Bari. Tutto fatto. Ma prima della firma si fa male Malgioglio e il Trap blocca il mio trasferimento in B». Un anno ad Appiano Gentile con Hansi Muller e altri campioni nerazzurri. Dopodiché va a San Benedetto del Tronto in B, grazie ai buoni uffici di Zenga. Stagione 1988-89, buona partenza personale, ma cambia l’allenatore e ne arriva un altro che mette da parte i giocatori in prestito. E, quindi, Sansonetti torna a Milano. «Il ds Beltrami mi prende da parte e mi dice: o vai a Giarre, in C1, o ti faccio smettere di giocare», ricorda riferendosi all’estate del 1989. «Avevamo fatto delle amichevoli a Giarre e a Licata. E il presidente del Giarre mi volle a tutti i costi. Faccio due anni in Sicilia, il primo ottimo (con la promozione in B sfiorata) e il secondo meno». Però...
La chiamata da Napoli. Dalla C1 alla serie A, arriva la chiamata per fare il secondo a Giovanni Galli grazie ai buoni uffici del ds Perinetti. I partenopei sono reduci dalla sbornia per lo scudetto di Maradona. Ma Dieguito è andato via. Ci sono Zola, Alemao, Careca e Fonseca, tra gli altri. «Facemmo bene terzo posto», rammenta Marco Sansonetti, «e debuttai in casa l’ultima giornata. Lì trovai Giorgio Pellizzaro, il preparatore dei portieri che mi ha cambiato il modo di parare. Da lui ho appreso tantissimo. Claudio Ranieri mi fece giocare contro il Genoa al San Paolo». La stagione successiva due presenze. «Una la prima di campionato. Era domenica mattina e vado a Soccavo a fare pesi. Tanto non devo giocare, pensai. E, invece, incontro Carmando (il massaggiatore, ndr). Mi fa: “Marco non forzare che devi giocare”. Pensai a uno scherzo e, invece, Ranieri alla lettura della formazione, nella riunione tecnica, fa il mio nome. Gioco contro il Brescia, finisce 0-0 con Careca che sbaglia il rigore. Che cosa era successo? C’era Giovanni Galli che puntava i piedi per andare al Milan. E quella domenica toccò a me giocare. Poi, Galli è rimasto e io gli ho fatto il secondo. Altra presenza, ma a fine stagione rischio di restare fermo per via del parametro alto da pagare. Erano i primi anni dopo la legge Bosman. A Napoli non resto perché c’è Di Fusco che fa il secondo».
E comincia il giro per l’Italia. «Faccio il ritiro con il Castel di Sangro con Jaconi, ma Gravina non paga il parametro e preferisce tenersi De Juliis».
Già, ma Sansonetti che portiere era? «Moderno già negli anni Ottanta. A me piaceva giocare la palla con i piedi. Vecchie reminiscenze dell’adolescenza trascorsa a giocare in strada. Paravo e giocavo con i piedi. A volte mi prendevo anche qualche rischio di troppo». E così da Napoli va a Potenza, dalla A alla C1. Poi la Nocerina con Delneri allenatore e relativa promozione in C1. Poi, Siena dove pensa di restare a lungo e invece gioca poco. Ricomincia in serie D a Riccione dove viene promosso con la squadra di Italo Castellani presidente. Poi, Rimini e Modena in C. A quel punto l’Abruzzo. Non Chieti, la sua città. «Mi chiama Fabio Lupo, con cui avevo giocato da ragazzo, e mi dice che Ammazzalorso cerca un portiere all’Aquila. Perché no? E vado. Entrai talmente in sintonia con Aldo che conquistammo la promozione ad Avellino, nella finale play off contro l’Acireale, e poi mi porta con sè sia ad Avellino che a Catania». A Catania con Gaucci, conquistando la promozione in B nella stagione dei tanti ritiri ordinati da Lucianone. A 39 anni chiude la carriera alla Sansovino, in C2. E si stabilisce con la famiglia ad Arezzo dove la moglie esercita la professione di medico. Estroverso e puntiglioso. «Ho cominciato a capire come stare nel mondo del calcio dopo che ho lasciato l’Inter. Ho discusso con tanta di quella gente che a ripensarci mi viene da ridere. Una volta Beltrami non mi voleva mandare alla Sambenedettese e allora chiamai direttamente il presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini il quale cadde dalle nuvole. Che cosa ne poteva sapere del trasferimento del terzo portiere?». Alla voce allenatori «Trapattoni, Delneri e Ranieri i migliori».

