Cassazione: processo bis per l’auto blu di Varrassi 

La Suprema Corte accoglie solo in parte il ricorso della Procura generale Atti inviati a Perugia dopo l’assoluzione in appello dell’ex manager Asl

TERAMO. A sette anni dai fatti e a quattro dalla sentenza di primo grado, la Cassazione scrive un nuovo capitolo nella vicenda processuale dell’ex direttore generale della Asl Giustino Varrassi finito sotto accusa per il peculato dell’auto blu (usata per il tragitto casa- Asl) e per l’abuso d’ufficio contestato per la promozione dell'urologo Corrado Robimarga.
A portare il caso davanti ai giudici della Suprema Corte il ricorso della Procura generale dell’Aquila che ha impugnato la sentenza con cui nel 2018 la corte d’appello ha assolto Varrassi ribaltando con la formula più ampia del fatto non sussiste la sentenza di primo grado di condanna a tre anni e due mesi. La Cassazione, con motivazioni depositate a fine settembre, ha dichiarato non fondato il ricorso della Procura tranne che per la questione riguardante l’auto blu per cui ha rinviato gli atti alla corte d’appello di Perugia per un nuovo processo.
Secondo i magistrati della corte d’appello dell’Aquila, così hanno scritto nelle motivazioni, «non è configurabile l’appropriazione, quale elemento materiale integrante il reato di peculato, nell’uso da parte del pubblico ufficiale delle vetture di servizio qualora tale uso sia esclusivamente preordinato alle esigenze di servizio in quanto in tale caso il bene di cui il pubblico ufficiale abbia la disponibilità, per ragioni del suo ufficio, rimane comunque nell’ambito della sua normale destinazione giuridica». Di diverso avviso, su questo punto, la Suprema Corte (sesta sezione) che nelle motivazioni ha scritto: «Deve, invece, ribadirsi, che l’uso dell’auto di servizio per fini privati è, in via generale, vietato dovendosi presumere la sua esclusiva destinazione a uso pubblico in assenza di provvedimenti che consentano puntuali e documentate deroghe a tale impiego, la cui esistenza e il cui contenuto devono essere specificatamente provati. Se l’autore della condotta ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, restituendola immediatamente dopo, ricorre il peculato d’uso: l’uso momentaneo non significa istantaneo ma temporaneo, ossia protratto per un tempo limitato, così da comportare una sottrazione della cosa alla sua destinazione istituzionale tale da compromettere, in misura considerevole, la funzionalità della pubblica amministrazione».
La Cassazione ha confermato l’ assoluzione in Appello, con la formula più ampia del fatto non sussiste, per gli ex direttori sanitari e amministrativi Camillo Antelli e Lucio Ambrosi condannati in primo grado a quattro mesi per abuso d’ufficio relativamente alla delibera di selezione di Robimarga. Dichiarato inammissibile il ricorso presentato per Giovanni Lanci, all’epoca autista di Varrassi, che in primo grado è stato condannato a un anno per i reati di appropriazione indebita, falso e truffa.(d.p.)
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