Crac Di Pietro, ecco gli interrogatori che tirano in ballo Carmine Tancredi

"I Di Pietro fanno al pm il nome di Carmine Tancredi", scriveva il Centro il 18 febbraio scorso. A distanza di tre settimane dall'interrogatorio degli arrestati, Ansa e Repubblica.it confermano le anticipazioni e aggiungono particolari

TERAMO. «I Di Pietro fanno al pm il nome di Carmine Tancredi», scriveva il Centro il 18 febbraio scorso. A distanza di quasi tre settimane dall'interrogatorio degli arrestati per il crac Di Pietro - gli imprenditori teramani clienti dello studio del commercialista Carmine Tancredi, socio del presidente della Regione, Gianni Chiodi - Repubblica.it e l'Ansa riprendono la notizia e pubblicano particolari di quelle dichiarazioni che confermano quanto anticipato dal nostro giornale.

"Guarda, ci penso io a risolvere il tuo problema, ho un rapporto ventennale con situazioni estere. Non ti preoccupare, la tua casa al mare, fai una società dove ci metti il tuo appartamento e un altro, un altro e quella sarà la tua situazione di famiglia, starai tranquillo, dopo ci mettiamo d'accordo, ti faccio sapere i prezzi e tutto il resto". A parlare, riferisce l'Ansa, sarebbe stato Carmine Tancredi. Ma a dire questa frase al pm, Irene Scordamaglia, è l'imprenditore Maurizio Di Pietro, arrestato il 27 gennaio dalla Guardia di finanza per la bancarotta fraudolenta di 4 società - due delle quali, Kappa Immobiliare e De Immobiliare, con sede legale nello studio professionale Chiodi-Tancredi - con una presunta distrazione di beni di 15 milioni di euro, attraverso passaggi tra società estere, in particolare cipriote, con conti svizzeri e inglesi.

Di Pietro, da 42 giorni in carcere assieme a un suo socio, Guido Curti, ha chiamato in causa il commercialista, definendolo, in sintesi, il regista delle operazioni che oggi vengono ritenute illecite dalla procura teramana. Tancredi non è indagato. La procura, prima di prendere nuove decisioni, è in attesa della risposta di due rogatorie bancarie, in Svizzera e Regno Unito.

Sono quattro le banche estere, di Londa e Lugano, interessate. "Partiamo, io e Tancredi, e andiamo a Lugano", dice ancora Di Pietro al pm Scordamaglia, "e mi porta nell'ufficio della Colombo (una società finanziaria, ndr): in mezza giornata, praticamente con un pezzo di carta, già avevamo una società off-shore, tanto é vero che dissi, ma non ci serve né notaio, né niente, tutto apposto...".

"Di Pietro avrebbe dovuto risolvere il problema di una cartella esattoriale Soget che avrebbe fatto saltare un suo appartamento a Tortoreto e", dice ancora al pm, "Tancredi torna in Italia, prepara uno statuto, fa la De Immobiliare (una delle società con sede nello studio commerciale e sequestrate dal gip. Marina Tommolini, ndr) come se l'avesse costituita lì a Lugano, e acquista il 99% di questa società italiana e la fa dal notaio (...), si mette la sede dentro il suo ufficio, lui é procuratore speciale, mette le limitazioni a chi gestisce la situazione (da visura risulta che l'amministratore Pietro Spinetti, un pensionato che però detiene solo l'1% della società, ndr) che non può fare prelievi, nulla di nulla: lì non si muoveva più paglia se Tancredi non decideva di fare".

Di Pietro ha anche riferito che la società aprì un conto corrente a Lugano sui cui furono fatti transitare 410mila euro in sterline di proprietà di Tancredi, così come provvide ad acquistare un appartamento a Prati di Tivo su indicazione del commercialista. "Quella", ha aggiunto Di Pietro raccontando il discorso con Tancredi, "praticamente risulterà la mia, poi vediamo come dobbiamo fare, perché mi serve, la dovrà dare in affitto ad un ente. Ma non mi spiegò quale ente era. Ecco io sono stato utilizzato da lui".

Dello stesso parere anche l'altro indagato e in cella anche lui, Guido Curti che sempre nell'interrogatorio di febbraio, aggiunge al pubblico ministero che: "Vi manca un pezzetto, e lo capirete quando vi arriveranno le carte da Lugano (la rogatoria internazionale chiesta dalla procura teramana, ndr), perché manca una società ancora. Perché la De Immobiliare è detenuta dalla Ruclesan al 99% ma la cassa della Ruclesan è un'altra società ancora, come pure sulla carta, dove c'é la Trimport, dietro ecco questa io me lo ricordo", aggiunge Curti, "c'é la Cherry ancora, che...".

Di Pietro e Curti, anche all'indomani di questo confronto con il pm, si sono visti negare per la seconda volta dal gip, la revoca degli arresti, al contrario di Nicolino Di Pietro (fratello di Maurizio), finito ai domiciliari, e Loredana Cacciatore, la moglie di Curti, scarcerata. La Finanza continua le indagini in cui sono coinvolte sette persone. Il commercialista Carmine Tancredi, come testimone, il 4 giugno 2011 raccontò alla Finanza come i due imprenditori avevano costituito le società all'estero.

"Apprendo dalla lettura di quotidiani online che nel corso di un interrogatorio davanti al Pm di Teramo, svoltosi nel quadro dell'inchiesta per bancarotta a carico del signor Maurizio Di Pietro, questi avrebbe affermato che sui conti correnti degli indagati transitavano anche i miei soldi. L'atto processuale è inaccessibile e per questa ragione ignoro se la notizia avente ad oggetto il tenore della dichiarazione resa abbia un fondamento di verità. Smentisco recisamente il fatto, che costituirebbe, ove realmente fosse stato riferito al Pm, il prodotto di una pura invenzione oltre che di una discutibile e pericolosa (per chi l'abbia concepita) strategia processuale". Lo ha detto il commercialista Carmine Tancredi, commentando gli ulteriori elementi emersi nel caso del crac Di Pietro.

Sugli articolo pubblicati sui siti on line è intervenuto il leader abruzzese dell'Idv, Carlo Costantini, con un comunicato con cui torna ad incalzare il governatore invitandolo a fare totale chiarezza sul coinvolgimento dello studio del socio Tancredi. «Lo aveva già detto», afferma Costantini, «il legale degli arrestati nel crac Di Pietro in una intervista televisiva: sono persone semplici (i Di Pietro, ndr) non in grado di organizzare meccanismi così complessi».

"Dalle notizie riportate oggi dalla stampa emerge una responsabilità diretta dello studio Tancredi-Chiodi nella vicenda del crac Di Pietro. Si tratta di notizie che devono trovare conferma nel corso delle indagini, che la magistratura e le forze dell'ordine hanno il diritto e il dovere di condurre serenamente: ma vista la loro gravità Chiodi non può più rinviare il chiarimento che deve agli abruzzesi sul suo ruolo e su quello dello studio di cui è socio", afferma il segretario regionale del Pd abruzzese Silvio Paolucci.

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