Giulianova, non trova lavoro padre di 2 figli si toglie la vita

Era arrivato venerdì dalla Romania con mille speranze, per tutto sabato ha cercato invano occupazione e poi si è impiccato

GIULIANOVA. Una cinta stretta al collo e due parole su un foglio: cerco lavoro. In questa Italia che dichiara guerra ai poveri e non alla povertà, Konstel è rimasto appena 48 ore. Il tempo di sbarcare dalla Romania, girare per bar e locali inseguendo qualche occupazione, piangere davanti ad alcuni connazionali. Poi Kostel L., romeno di 46 anni, padre di due figli, una moglie che da anni fa la badante nel Lazio, ha deciso che questa non poteva essere vita. Perchè anche se era arrivato in Italia non avrebbe trovato un lavoro, una casa, una possibilità per ricominciare.

La polizia lo ha trovato ieri mattina poco dopo le 7 all’esterno di uno stabile della stazione ferroviaria di Giulianova: la cintura dei pantaloni trasformata in un cappio appeso ad un gancio. Per terra una piccola valigia e un biglietto di sola andata sull’autobus con cui venerdì mattina l’uomo era arrivato da Medgidia, una cittadina della regione della Dobrucia, nella zona più a nord della Romania. I suoi due ultimi giorni di vita si srotolano nel verbale degli agenti di polizia ferroviaria che, coordinati dal dirigente Patrizia Corvaglia, per tutta la mattinata di ieri hanno raccolto testimonianze e impresso nero su bianco i segni di una disperata solitudine. Tutto il resto sono solo particolari in cronaca.

Nella tarda mattinata di venerdì Kostel L. era arrivato nel piazzale davanti alla stazione ferroviaria di Giulianova su uno dei tanti autobus che ogni giorno fanno la spola con i Paesi dell’Est carichi di uomini e donne che si muovono sicuri nei confini di una Unione Europea sempre più in crisi ma liberi di spostarsi senza dover inseguire un permesso di soggiorno. E’ rimasto nel piazzale fino alle prime ore del pomeriggio, quando ha avvicinato alcuni connazionali, forse gli stessi che con un italiano stentato gli hanno scritto quel «cerco lavoro» sul biglietto trovato nel suo giubbino. Gli stessi connazionali che lo hanno visto piangere, gli stessi che hanno raccontato alla polizia che l’uomo ha trascorso davanti alla stazione la prima notte in Italia. Poi sabato, armato di biglietto e speranza, ha girato per bar e locali alla ricerca di un posto di lavoro, anche solo per qualche ora. «Non parlava italiano», hanno raccontato alcuni commercianti ai poliziotti, «ma cercava di farsi capire con quel biglietto e con alcune parole. Cercava un lavoro, qualsiasi tipo di lavoro». Lo ha cercato per tutto il giorno. Poi, in serata, è tornato davanti alla stazione ferroviaria. Ha parlato ancora con i suoi connazionali, ha pianto davanti a loro. E’ rimasto solo nel Paese in cui sperava di potersi inventare una seconda vita. Quando ieri mattina gli agenti della polizia ferroviaria sono arrivati per aprire gli uffici hanno trovato il corpo all’esterno della palazzina. Lo hanno soccorso subito e in poco tempo sono arrivate le ambulanze del 118. Ma ormai non c’era più niente da fare. Solo rimettere insieme i pezzi di una vita in un verbale, rintracciare i familiari, parlare con la moglie che raccomanda «di non farlo sapere subito ai figli che in questi giorni stanno facendo gli esami».

Tutto il resto è solo rassegnazione, addolorate alzate di spalle, una stanca pietà che mai diventa solidarietà.

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