odissea giudiziaria

Giulianova, «Otto mesi in carcere da innocente»

Assolto in Appello imprenditore arrestato con l’accusa di aver rapinato l’uomo che gli doveva dei soldi: per i giudici il fatto non sussiste

GIULIANOVA. Le parole si muovono ancora tra le ferite. Perchè nemmeno una sentenza di assoluzione basta a cancellare otto mesi in carcere e quattro ai domiciliari. Claudio Ridolfi, 65enne di Giulianova, incensurato, imprenditore nel settore alimentare e titolare di una paninoteca, sa che basta un attimo per seppellire una vita. Arrestato con l’accusa di rapina aggravata, condannato in primo grado a quattro anni e mezzo, assolto in appello perchè il fatto non sussiste: in mezzo una esistenza sospesa nel limbo del diritto. «Non posso dire di credere nella giustizia perchè se esistesse io oggi non dovrei essere qui», racconta mentre è con gli avvocati Antonino Orsatti e Antonietta Ciarrocchi, i legali che lo hanno assistito, «posso dire che per fortuna sulla mia strada ho incrociato qualcuno che legge le carte nelle aule di tribunale. Ma non c’è nessuna sentenza che potrà ridarmi otto mesi in carcere da innocente, questi anni passati a gridare la mia innocenza, a provarla con fatti e documenti. E oggi non è facile ricostruirsi una credibilità».

Perchè non è mai vero che tutto passa: i sospetti, le insinuazioni ti restano cuciti addosso. Anche se nella sentenza di assoluzione (collegio presieduto da Fabrizia Francabandera, a latere Marco Flamini e Carla De Matteis) i giudici d’appello, accogliendo pienamente le argomentazioni della difesa, scrivono «che la persona offesa non è credibile, che non solo mancano del tutto riscontri alle sue dichiarazioni ma esistono elementi di prova storica e logica che inducono a dubitare della veridicità delle stesse». Ridolfi venne arrestato il 7 febbraio del 2012, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare, per rapina aggravata in concorso commessa ai danni di un giovane a cui aveva affittato un bar a Martinsicuro e con cui erano in corso delle diatribe di natura civilistica perchè, secondo Ridolfi, l’uomo non era in regola con i pagamenti. Per l’accusa la rapina sarebbe avvenuta cinque mesi prima, esattamente il 21 ottobre del 2011. Secondo gli inquirenti quel giorno Ridolfi avrebbe rapinato insieme a Thomas Di Eugenio (anch’egli arrestato, condannato in primo grado a 4 anni al termine di un abbreviato e, assistito dall’avvocato Cataldo Mariano, primo ad essere assolto in appello perchè il fatto non sussiste) l’uomo a cui aveva dato in affitto il bar minacciandolo con un coltello e facendosi consegnare la somma di tremila euro che qualche ora prima gli aveva versato davanti ad un notaio a titolo di caparra confirmatoria per riottenere la licenza del locale. Accuse sempre negate. «Quando la mattina sono venuti a casa per arrestarmi», ricorda Ridolfi, «ho subito pensato ad un errore. Ma come? Io ero quello che non era stato pagato, quello che aveva percorso la strada della legge e finivo in carcere? M sono subito accorto che non era uno scherzo. Non dimenticherò mai il momento in cui sono entrato in carcere, quando ho visto mia moglie e i miei figli. No, niente e nessuno potranno mai ripagare me e la mia famiglia per quella sofferenza». In questi anni gli avvocati hanno messo insieme una variegata documentazione, a cominciare da una precedente sentenza che aveva assolto Ridolfi dall’accusa di esercizio arbitrario delle proprie ragioni sempre per la questione legata al mancato pagamento del canone di affitto.

Ma è sull’attendibilità del denunciante che i magistrati d’appello hanno basato il provvedimento. «E’ innegabile», si legge nella sentenza, «che il giudice debba operare un vaglio approfondito di credibilità della persona offesa. La Suprema Corte si è spinta oltre, ammettendo che in talune situazioni possa essere necessario addirittura cercare dei riscontri». E hanno citato due episodi in cui la parte offesa «ha certamente detto il falso». Aggiungendo: «A tali dati probatori, già di per se stessi idonei a introdurre consistenti dubbi di attendibilità della persona offesa, il quale ha reso nel corso del giudizio più versioni del fatto, si aggiungono le considerazioni di carattere logico evidenziate dalla difesa».

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