In cella con il telefonino, assolto. Ma per la Cassazione è colpevole

La Suprema Corte annulla la sentenza con l’abbreviato e rinvia gli atti al tribunale per un processo bis: «Solo quel detenuto poteva avere interesse a chiamare, con quell’apparecchio, la sorella e la moglie»
TERAMO. È una delle tante emergenze del carcere di Castrogno e non solo visto che ogni giorno nei penitenziari italiani, nascosti nei pacchi dono o lanciati con i droni, entrano decine di telefoni cellulari destinati ai detenuti. Che il più delle volte, così come è stato dimostrato da molte inchieste, anche dalle celle continuano a gestire contatti criminali.
Come nel caso finito all’esame della Cassazione che ha accolto il ricorso della Procura generale contro l’assoluzione di un detenuto napoletano finito a processo con l’accusa prevista dall’articolo dal 391 ovvero l’indebito utilizzo del cellulare in carcere. Telefonino usato quando era recluso nel reparto dell’alta sicurezza. Al termine del processo con rito abbreviato il tribunale lo aveva assolto per non aver commesso il fatto. La Procura generale ha fatto ricorso e la Suprema Corte (sesta sezione penale presieduta dalla giudice Emilia Anna Giordano) ha accolto «senza rinvio», si legge nel provvedimento, «con trasmissione degli atti al tribunale di Teramo, in diversa composizione fisica, per l’ulteriore corso».
L’uomo era finito a processo dopo che le indagini avevano accertato che all’interno del carcere era stato ritrovato un telefono cellulare e che dalle verifiche era emerso che le sole utenze contattate più volte erano risultate quelle di sua sorella e sua moglie. L’uomo all’epoca era detenuto a Teramo per scontare una serie di condanne per estorsioni ai negozianti con l’aggravante dell’associazione di tipo mafiosa (fatti avvenuti in Campania). Ma quelle telefonate partite dal carcere teramano e dirette ai familiari dell’uomo non erano state ritenute sufficienti dal tribunale per provare che fosse stato lui a farle: da qui l’assoluzione per non aver commesso il fatto. La Procura generale aveva fatto ricorso sostenendo «una motivazione assente, contraddittoria e illogica».
Ricorso accolto dalla Cassazione. «Nel caso in esame», ha scritto la presidente, «era stata raggiunta una prova di reità a tutti gli effetti. La duplicità dei contatti nei confronti tanto della convivente che della stretta congiunta provano nei confronti dell’imputato – che era il solo ad avere interesse ad effettuare tali chiamate – l’utilizzo indebito del telefono all’interno dell’istituto penitenziario. Né dalla scarna motivazione emerge una visione diversamente apprezzabile fornita dall’imputato. La sentenza, pertanto, deve essere annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al tribunale di Teramo, in diversa composizione fisica, per l’ulteriore corso».
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