L’autopsia conferma: i due uccisi dal monossido la notte di martedì 

Sul corpo dell’uomo fatti solo dei prelievi per gli esami tossicologici perché era positivo al Covid Fuliggine trovata nella trachea dopo il principio d’incendio innescato dal braciere rovesciato 

TERAMO. Le conferme dell’autopsia a raccontare gli ultimi momenti di due vite disperate: quelle di Alessia Sardella, teramana di 46 anni, e di Ablie Ceesay, gambiano di 26, morti abbracciati in una delle palazzine abbandonate di via Longo. L’esame, eseguito ieri mattina dal medico legale Giuseppe Sciarra su delega del pm Davide Rosati, ha confermato la morte per esalazioni da monossido di carbonio sprigionate da un braciere di fortuna e la data, ovvero 48 ore prima della scoperta dei corpi. Per l’uomo niente esame ma solo prelievi di liquidi perchè trovato positivo al Covid. In entrambi i casi fatti dei prelievi per degli esami tossicologici che saranno eseguiti dal tossicologo forense Rino Froldi. L’esame ha evidenziato anche la presenza di fuliggine all’interno della trachea dei due a causa del principio d’incendio innescato nel momento in cui il braciere si è rovesciato. L’inchiesta per ora resta contro ignoti e il pm ha dato il nulla osta alla sepoltura dei due.
Una prima ricognizione fatta dallo stesso Sciarra aveva già stabilito che la morte dei due risaliva a 48 ore prima della scoperta dei cadaveri. E chissà per quanto altro tempo sarebbero rimasti lì se dopo la mezzanotte di mercoledì due giovani pakistani senzatetto, anche loro in cerca di riparo nelle case disabitate, non fossero entrati in quelle stanze allarmati da un principio d’incendio. La donna è stata trovata con una parte del viso nel braciere e quindi con delle ustioni. E proprio queste ferite inizialmente hanno fatto pensare anche a un’aggressione culminata con un femminicidio. Ipotesi ben presto scartata dopo un attento esame dei corpi. Fin qui la cronaca giudiziaria, quella di annotazioni, date, riscontri, eventuali ipotesi di reato. Tutto il resto rimane in quei palazzoni disabitati dove le vite degli invisibili si sfiorano e si toccano nella disperazione di chi sopravvive. Come Alessia, come Ablie. Lei, un passato con una storia di tossicodipendenza, in alcune occasioni aveva rifiutato il soccorso dell’ambulanza quando si era sentita male. Era seguita dai servizi sociali del Comune che l’avevano sostenuta nel difficile percorso segnato dalla droga. Il Comune le pagava una camera in un hotel della città, ma nell’ultimo mese la donna no ci andava più. Da quando aveva conosciuto Ablie e insieme si rifugiavano in una delle palazzine abbandonate di via Longo. Lui era arrivato in Italia nel 2018 con un programma di protezione e da qualche mese era giunto nel Teramano: si divideva tra la zona del parco fluviale e quella di piazza San Francesco. Chiedeva l’elemosina all’uscita dei supermercati.
Raccontano che si erano conosciuti in strada e che da quel momento fossero diventati inseparabili. «La sera si vedevano spesso da queste parti», hanno ricordato alcuni residenti delle palazzine abitate di via Longo, « loro come tanti altri che vengono qui per trovare un riparo». In quei vecchi edifici senza elettricità, senz’acqua e con i tavolati di legno alle porte.(d.p.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA.