Lascia il lavoro, niente pensione: Teramano beffato dall’Inps

Ha anche pagato per la ricongiunzione dei contributi Ora chiede all’istituto un milione di euro di risarcimento

TERAMO. E’ il peggiore degli incubi che si avvera. Concordare con l’Inps la propria entrata nella pletora dei pensionati, pagare - e tanto - per la ricongiunzione dei propri contributi fino ad andare finalmente in pensione e a percepire un paio di mensilità. Per poi svegliarsi dal sogno e sentirsi dire dall’Inps: «Abbiamo sbagliato». E ritrovarsi disoccupato e senza reddito.

Poche parole per descrivere una storia che va avanti dal 2006 e che ha come protagonista il teramano A.D’A., fino al novembre 2007 direttore dei sistemi informativi e telecomunicazioni della Legler in Emilia Romagna. Poi pensionato, anzi no. E ora A.D’A. che ha provato solo per qualche mese l’ebbrezza della “quiescenza” chiede più di un milione di euro all’Inps, cioè la somma di tutti gli stipendi che avrebbe percepito se fosse rimasto al lavoro.

Il ricorso è stato presentato alla sezione lavoro del tribunale di Teramo dal legale di A.D’A., Carlo Del Torto, e l’udienza si terrà il 15 luglio.

Tutto inizia nel 2006 quando il dirigente d’azienda chiede all’’Inps di Teramo se è possibile la costituzione di una rendita vitalizia reversibile per vecchi contributi omessi e caduti in prescrizione. L’Inps risponde che è possibile, basta pagare 18.954 euro. Somma che A.D’A. versa e subito dopo presenta domanda di ricongiunzione fra i contributi “resuscitati” e quelli derivanti dal lavoro che attualmente svolge. Domanda che l’Inps accoglie: per la ricongiunzione il dirigente dovrà pagare 163.884 euro, suddivisibili in “comode” rate da 3.800 euro che il teramano inizia a pagare.

A.D’A. nel luglio 2007 presenta domanda di assegnazione della pensione d’anzianità e l’Inps risponde che deve usare la finestra che si aprirà il 1° gennaio 2008. Nel frattempo l’istituto gli rilascia il certificato di diritto alla pensione. Avuto il certificato, il dirigente si dimette dalla Legler. E’ il 22 novembre 2007, A.D’A va in pensione il 1° gennaio 2008 come previsto e il 18 marzo 2008 l’Inps gli comunica che viene accolta, e quindi liquidata, la pensione di anzianità, invitandolo a riscuotere dal 1° aprile le rate arretrate.

A.D’A. entra dunque in una nuova fase della sua vita, ogni mese percepisce la sua pensione (più di tremila euro) fino ad agosto. Ma a settembre non la riceve, per cui chiede all’Inps che accade: gli rispondono che ci sono problemi tecnici fra la sede di Teramo e la direzione generale, ma poi pare tutto risolto e infatti percepisce il rateo di ottobre e novembre. Poi, clamorosamente, l’Inps smentisce se stessa e ad aprile 2009 comunica a A.D’A. che quei contributi per cui ha pagato quasi 19mila euro non si potevano “resuscitare”, per cui non ha più i requisiti per andare in pensione e tutti gli atti successivi sono carta straccia.

Così il dirigente di azienda si ritrova senza lavoro e senza pensione. Da qui la decisione di chiedere all’Inps un risarcimento per tutte le retribuzioni perse in questo periodo. L’avvocato Del Torto fa due ipotesi. Nella prima - che ritiene la più fondata anche perchè il dirigente è stato indotto a dimettersi da una serie di comunicazioni dell’Inps poi rivelatesi sbagliate - chiede il pagamento delle retribuzioni non percepite dal 31 dicembre 2007 fino a tutto il 2013, cioè un milione 153mila euro circa. In subordine chiede al giudice di condannare l’Inps a ripristinare la pensione pagando i ratei non percepiti finora (più interessi e rivalutazione) e quindi 480mila euro circa.

©RIPRODUZIONE RISERVATA