«Naselli non ha favorito la ’ndrangheta» 

La Suprema Corte demolisce l’aggravante mafiosa contestata da Gratteri all’ex comandante dei carabinieri di Teramo

TERAMO. C’è un filo conduttore, al netto di tanti tecnicismi giuridici, a legare le 15 pagine di motivazioni della Cassazione: l’ex comandante provinciale dei carabinieri Giorgio Naselli non ha voluto favorire la ’ndrangheta. Perché nel provvedimento con cui la Suprema Corte spiega i motivi della scarcerazione del tenente colonnello coinvolto nella maxi inchiesta della Procura di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri, gli Ermellini entrano nel merito delle accuse ipotizzate sia nell’ordinanza di custodia cautelare sia in quella del tribunale del Riesame spazzando via l’aggravante mafiosa. «In ordine all’imputazione soggettiva dell’aggravante agevolativa», scrivono i magistrati della sesta sezione della Suprema Corte con il collegio presieduto da Giorgio Fidelbo, lo stesso che ha annullato l’aggravante mafiosa nel caso di “Mafia Capitale”, «è evidente che la motivazione ricorre ad automatismi non consentiti e non chiarisce né dimostra che il ricorrente fosse consapevole della volontà di Pittelli di favorire, curando la pratica del Delfino, il Mancuso e che in tal modo agevolasse anche la cosca a lui facente capo, nonchè, in via mediata, la cosca alleata Piromalli-Molè, cui era vicino il Delfino, e che il ricorrente avesse condiviso tale obiettivo e lo avesse fatto proprio».
Dopo che Gratteri ha confermato tutte le accuse contestate a Naselli chiedendo il processo (l’11 settembre nell’aula bunker di Rebibbia è prevista l’udienza preliminare a carico dell’ex comandante e di altri 455 imputati), il pronunciamento della Cassazione rappresenta un assist per la difesa del militare rappresentata dagli avvocati Gennaro Lettieri e Giuseppe Fonte in quella che si annuncia una battaglia giudiziaria. Naselli è accusato di associazione mafiosa e rivelazione di segreti d’ufficio all’avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli, anch’esso arrestato e considerato dagli inquirenti uomo di fiducia del boss Luigi Mancuso. Accuse che l’ufficiale ha respinto al Riesame con i magistrati di questo tribunale che hanno ritenuto insussistenti due ipotesi di reato relativi alla rivelazione del segreto d’ufficio (l’articolo 326 del codice penale ndr) preservando la rivelazione del segreto solo per un procedimento amministrativo all’epoca in corso davanti alla prefettura di Teramo. In particolare si fa particolare riferimento a un suo interessamento a un procedimento amministrativo in corso davanti alla prefettura teramana per un’azienda riferita a una società di Gioia Tauro con collegamenti alla ’ndrangheta (procedimento chiuso con esito negativo per il privato). Secondo i giudici della Cassazione «relativamente all’aggravante dell’agevolazione mafiosa la motivazione è assertiva, apparente e contraddittoria». A questo proposito i magistrati fanno riferimento ad una recente sentenza delle sezioni unite che, proprio in riferimento all’aggravante mafiosa, «ne hanno affermato la natura soggettiva, precisando che l’aggravante agevolativa attiene ai motivi a delinquere ed è caratterizzata dal dolo intenzionale dell’agente il quale delibera l’attività illecita nella convenzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa». Cosa che, sostengono i giudici, in questo caso sarebbe mancata. Sull’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio la Cassazione scrive: «Risulta che il ricorrente, pur mostrando disponibilità nei confronti del Pittelli, tenne subito a precisargli che la pratica “era in mano alla prefettura” e si limitò ad esaminare gli atti, a confermare le criticità della pratica, a fornire solo vaghe assicurazioni al Pittelli quando questi gli prospettò la necessità di ottenere almeno un differimento, evitando la rapida adozione di un provvedimento negativo: ma aldilà della comunicazione di tali notizie e della data di trattazione della pratica non vi è prova della utilizzazione e strumentalizzazione delle informazioni riservate per procurare a sè o ad altri un indebito vantaggio patrimoniale o non patrimoniale. Ne deriva che nei fatti non è ravvisabile la gravità indiziaria per il reato contestato ma solo per il reato di cui al primo comma dell’articolo 326 del codice penale». La Cassazione ha accolto anche il ricorso per l’abuso d’ufficio. «L’ordinanza reputa sussistente il reato in base alla risultanze delle conversazioni intercettate dalle quali, tuttavia, emergono solo ulteriori condotte di rivelazione di segreto d’ufficio, non risultando al di à della vaga e generica disponibilità del Naselli, né che il ricorrente si sia effettivamente attivato per assecondare le richieste del Pittelli né che abbia interferito nei lavori del comitato o della commissione, né che vi sia stato un rallentamento o un effettivo ritardo nell’emissione del provvedimento conclusivo del procedimento».
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