Omicidio Masi, 15 anni senza un perché 

Nereto, oggi il tragico anniversario del duplice delitto dell’avvocato Libero e della moglie Emanuela massacrati in casa

'di Diana Pompetti
NERETO. Il tempo, alla fine, ha vinto sulla giustizia in questa storia da incubo che resta il massacro dell’avvocato Libero Masi e di sua moglie Emanuela Chelli.
Quella tra il 1º e il 2 giugno del 2005 resta una notte senza alba. Una notte lunga quindici anni piena di racconti contrastanti, interrogativi senza risposte, brandelli di verità. Emersi a fatica. Anche nei dieci faldoni che raccontano l'omicidio di marito e moglie, all’epoca entrambi 57enni, massacrati a colpi di machete nella loro villa di Nereto. Quei faldoni raccontano, senza riuscire a spiegarla, la morte di un uomo e di una donna amati e stimati. E il dolore, straziato e riservato, dei figli Elvira e Alessandro che in questo tempo sospeso hanno chiesto, con forza e determinazione ma senza mai urlare, che il moto del tempo non cancellasse quella notte di orrore nella casa di via Lenin, l’antica villa di nel cuore di Nereto. Con loro sempre l’avvocato Florindo Tribotti, uno di famiglia, cresciuto nello studio Masi, quello che sulla targa in ceramica porta ancora il nome di Libero. Tanti perché senza risposte e nessun colpevole negli atti di un'indagine chiusa e riaperta due volte. Fino all'archiviazione del maggio 2010 firmata dall'allora gip di Teramo Guendalina Buccella. L'omicidio Masi resta un mistero con mille ipotesi e nessuna certezza. Nel decreto di archiviazione il gip spazza via anche l’ipotesi di una rapina, l'unica rimasta in piedi dopo aver escluso la vendetta personale o quella professionale. Per anni si è pensato che trentamila euro, parte dei quali incassati come parcelle dall'avvocato la sera prima di essere ucciso, fossero stati portati via dagli assassini. Nel provvedimento d'archiviazione, però, si rivela che in realtà quei soldi sono stati ritrovati nel 2009 in una scatola di scarpe nascosta tra i libri di casa Masi.
Archiviati i cinque sospettati: tre marsicani e due teramani. I marsicani sono gli stessi che cinque mesi dopo il delitto di Nereto vennero arrestati e poi condannati (prima all'ergastolo e in secondo grado a 30 anni) per l'omicidio di Roberto Manni, commerciante di Morino. «Le indagini», è scritto nel decreto di archiviazione, «hanno consentito di escludere la loro presenza nella zona di Nereto in epoca compatibile con il delitto, di apprezzare l'incompatibilità dell'ascia rinvenuta nella loro abitazione con quella usata nella villetta di Nereto e di accertare che le impronte dei tre non corrispondono a quelle trovate in casa Masi». Per i due teramani, indagati dopo le dichiarazioni di un ex collaboratore di giustizia ucciso quattro anni fa ad Arezzo, il gip ha scritto che «le indagini hanno consentito di verificare il carattere calunnioso delle notizie fornite». Nessun colpevole per il massacro dei coniugi Masi.
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