Pastore assunto a tre euro l’ora, condannato allevatore 50enne

L’imprenditore Massimo Di Girolamo dovrà scontare un anno e tre mesi di reclusione. In autunno è atteso in aula per un secondo processo, legato alla morte di Ousmana Kourouma
SULMONA. Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Due reati che sono costati a Massimo Di Girolamo, imprenditore agricolo di 50 anni, originario di Ceccano ma residente a Sulmona, una condanna alla pena di un anno e tre mesi di reclusione, 750 euro di multa e pagamento delle spese processuali. La sentenza è stata emessa ieri dal giudice del Tribunale di Sulmona, Francesca Pinacchio. I fatti risalgono al periodo tra il 2017 e il 2018. A far partire l’inchiesta fu un controllo dei carabinieri della stazione di Goriano Sicoli: durante una verifica del territorio, un giovane pastore originario della Guinea, impiegato nell’azienda dell’imputato, venne fermato per un controllo e successivamente, in caserma, rilasciò dichiarazioni che insospettirono i militari. Da quelle parole scaturì l’indagine, coordinata dalla procura di Sulmona, che portò i carabinieri a effettuare un blitz nell’azienda per accertare le condizioni di lavoro e vita del dipendente straniero.
Secondo quanto emerso, il pastore, incaricato di accompagnare le pecore al pascolo, veniva pagato appena tre euro l’ora e viveva in un’abitazione priva dei minimi requisiti igienico-sanitari. Una situazione che ha convinto il giudice ad accogliere le richieste dell’accusa. Diversa la tesi difensiva, sostenuta dall’avvocato Maria Alba Cucchiella, secondo cui le dichiarazioni del giovane non sarebbero state riscontrate da prove oggettive. La difesa ha inoltre sostenuto che il datore di lavoro copriva anche le utenze dell’alloggio messo a disposizione del dipendente e che le mansioni si svolgevano in orari limitati. Argomentazioni che, tuttavia, non hanno evitato la condanna. Per Massimo Di Girolamo si prospetta un autunno ancora più delicato.
È infatti atteso in aula per un secondo processo, stavolta legato alla morte di Ousmana Kourouma, un altro giovane pastore della Guinea, deceduto nel 2019 a soli 23 anni per esalazioni di monossido di carbonio dopo aver acceso un braciere nel suo alloggio per scaldarsi. Anche in quel caso la Procura contesta lo sfruttamento lavorativo e ha formulato l’accusa di omicidio colposo. Il 23enne non aveva una casa dove alloggiare, se non quello stanzino rimediato che si è trasformato nella sua tomba. La procura contesta a Di Girolamo di aver procurato la morte del giovane. La sua colpa, leggendo gli atti, sarebbe il «non aver garantito al giovane immigrato tutte le tutele di sussistenza richieste».
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