Pestato in cella, nessun colpevole

La procura: troppa omertà. Chiesta l’archiviazione per l’indagine shock

TERAMO. Nessun colpevole per il detenuto pestato in carcere. Ma è un’archiviazione che pesa quanto e forse più di una condanna quella che il sostituto procuratore David Mancini ha chiesto dopo aver concluso le indagini su una vicenda dalle molte ombre.
A cinque mesi dall’audio shock finito sulle prime pagine di tutti i giornali il pm, titolare del caso insieme al procuratore Gabriele Ferretti, ha firmato la richiesta di archiviazione per i quattro agenti di polizia penitenziaria, il comandante e il detenuto indagati per abuso, omissioni e lesioni. Ora sarà il gip a decidere se chiudere o rinviare gli atti al pm per fare nuove indagini.

UN ATTO D’ACCUSA. E’ un atto d’accusa quello che Mancini mette nero su bianco sottolineando un’omertà carceraria che, di fatto, avrebbe impedito di raccogliere prove indispensabili per arrivare al processo. Il magistrato parla di un silenzioso codice di comportamento carcerario in vigore tra i detenuti che impone di non riferire alle autorità quello che succede in cella. E, scrive Mancini, nessuno ha detto nulla di utile sui fatti avvenuti a settembre nè in un senso nè in un altro. E ancora. Per il pm il clima generale che c’è stato in carcere, limitatamente all’episodio contestato, è stato un clima di ansie e paure che hanno creato sofferenza non solo tra i detenuti ma anche tra gli agenti di polizia penitenziaria costretti a fronteggiare turni estenuanti.

IL COMANDANTE. Un discorso a parte merita il ritratto che, nella richiesta di archiviazione, il pm delinea del comandante della polizia penitenziaria Giuseppe Luzi, sospeso dal ministro di giustizia Alfano proprio per questi fatti. E’ di Luzi la voce nel cd registrato. E lui che dice: «Il detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto. Abbiamo rischiato una rivolta perchè il negro ha visto tutto». Il testimone Uzoma Emeka è morto un mese dopo in carcere, stroncato da un tumore al cervello che nessuno ha diagnosticato. Luzi, sentito dal magistrato, ammette i colloqui registrati, ma sostiene che quelle frasi vanno interpretate in un contesto di forte tensione. Respinge ogni accusa di violenza sul detenuto e nega di averne tollerato l’utilizzo nei confronti di tutti i reclusi. Nega l’aggressione all’uomo in un ufficio e sostiene che in sua presenza nessun agente abbia mai alzato le mani.

Ma Mancini sottolinea l’esistenza di lacune nella difesa del comandante. Secondo il pm il linguaggio usato da Luzi denota una considerazione del detenuto lontana dal rispetto minimo che si deve alla dignità di tutti gli esseri umani. Per Mancini le parole del comandante evidenziano, invece, attitudini al comando poco apprezzabili se per dirigere il proprio personale quando la tensione era alta doveva fare ricorso a un linguaggio che il pm definisce «esecrabile». Nella richiesta di archiviazione il magistrato sostiene che le dichiarazioni del comandante danno l’idea del clima di agitazione esistente in quei giorni e del fatto che egli sia intervenuto per evitare che la vicenda degenerasse. Ma il pm sottolinea come questa affermazione contrasti con la negazione di ogni violenza sul detenuto. Anche gli altri indagati, gli agenti, hanno respinto ogni accusa. Secondo Mancini le contraddizioni evidenziate sia dagli agenti e sia da Luzi farebbero dubitare della veridicità delle loro versioni.

IL DETENUTO. Restano le accuse di Mario Lombardi, il detenuto che al magistrato ha raccontato di essere stato picchiato dagli agenti come atto di ritorsione per una sua resistenza nei confronti di un poliziotto (caso per cui per l’uomo c’è una richieta di rinvio a giudizio in un’altra indagine affidata ad altro magistrato). Lombardi, subito dopo i fatti, è stato medicato nell’infermeria del carcere per delle escoriazioni. Dopo l’esplosione del caso Mancini lo ha fatto sottoporre a visite mediche e radiografie che hanno escluso la frattura di una costola inizialmente diagnosticata all’ospedale di Teramo e che poteva essere una conseguenza dell’aggressione. Per il pm le accuse si reggono solo sul racconto del detenuto, che però non possono essere confermate da nessuna certificazione medica. Poi ci sono le impressioni, le tante impressioni. Ma queste nel codice di procedura penale non ci sono.

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