Prefabbricati, addio a 457 posti di lavoro

A Teramo c’è oltre il 10% delle fabbriche d’Italia, ma sono tutte in crisi: a fine anno ne resteranno solo cinque su 13

TERAMO. Un settore annientato dalla crisi, quello dei prefabbricati. Un settore che vede in provincia di Teramo più del 10% di tutte le aziende italiane. In altri tempi sarebbe stata definita “un’eccellenza” adesso è un’altra piaga. A sollevare il problema, con una lettera all’assessor regionale al lavoro Paolo Gatti e a quello provinciale Eva Guardiani, è il segretario provinciale della Fillea Cgil Silvio Amicucci.

In provincia, spiega il sindacalista, tutte le 13 imprese di laterizi e manufatti in cemento utilizzano gli ammortizzatori sociali. Il settore fino a poco fa dava lavoro a 718 persone, che adesso sono rimaste 446: le restanti 272 sono in mobilità. E l’ultimo ammorizzatore sociale possibile sta scadendo, per cui saranno a breve senza reddito. Ma non basta, purtroppo. «Entro la fine del 2014 rimarranno solo 261 dei 446 lavoratori “superstiti”», aggiunge Amicucci, «così avremo perso 457 posti di lavoro. E da 13 fabbriche ne rimarranno cinque». Il sindacalista non fa il nome delle aziende per non aggravare la loro situazione, ma il termine più ricorrente è “concordato liquidativo” o “amministrazione controllata”. Da qui l’appello ai due assessori. «Erano fabbriche che producevano 40 milioni di fatturato annuo l'una. In totale 500 milioni di fatturato l'anno, non mi sembra di poco conto per il Pil della provincia di Teramo, oltre a quello che rappresentano in termini di occupazione», osserva il sindacalista, «E' una situazione senza futuro che va inserita in un contesto nazionale, c’è bisogno di un progetto che punti alla riconversione industriale e che deve partire proprio da Teramo perchè ha più del 10% di tutte le aziende presenti a livello nazionale. Qui c’è una straordinaria concentrazione che risale a quando c'erano gli incentivi per il Mezzogiorno. L’appello è dunque a pensare qui a un futuro per questo settore, anche perchè stiamo parlando di quasi 500 famiglie che non avranno più reddito: coloro a cui scade la mobilità difficilmente riusciranno a trovare un impiego. Molte di queste aziende andranno in concordato ma difficilmente si riuscirà a applicare un piano di salvataggio per cui buona parte della ricchezza, delle attrezzature e del patrimonio di esperienza dei lavoratori andrà disperso. E i nuclei industriali saranno sempre più vuoti». Il problema principale è che non ci sono commesse.

«La crisi delle produzioni dei manufatti in cemento è data anche dall'incapacità di seguire il necessario cambio di ruolo verso la green economy e il risparmio di suolo», scrive Amicucci a Gatti e Guardiani, «è necessario attuare tutte le contromisure che diano risposte immediate ed efficaci. Riteniamo che le istituzioni e le parti sociali debbano dare una risposta forte e decisa. Per tali ragioni, vi chiediamo un incontro urgente per trovare soluzioni comuni. Pensiamo ad esempio a uno stato di crisi territoriale del settore. Oppure a percorsi e progettazioni rivolte alla riconversione industriale di siti che hanno, tra l'altro, a disposizione moltissimi metri quadri di superfici».

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