Scontri black bloc a Roma, gli ultrà teramani rischiano 15 anni

L'inchiesta sull'assalto al blindato. I 5 giovani sono accusati di  devastazione. La difesa: non ci sono prove

TERAMO. Accuse gravissime, che se confermate nel processo causerebbero condanne a oltre 15 anni di reclusione. Ma i difensori dei cinque ultrà teramani messi agli arresti domiciliari per gli scontri politici dell'ottobre scorso a Roma sono fiduciosi: secondo loro la parte più grave delle imputazioni contestate, quella di devastazione e saccheggio, per i loro assistiti è indimostrabile. D'altro canto, è anche possibile che il pm accolga l'invito del gip che ha firmato le ordinanze, secondo il quale l'accusa per chi ha assaltato il blindato dei carabinieri in piazza San Giovanni - quattro dei teramani sono tra questi - dovrebbe essere di tentato omicidio e non di resistenza a pubblico ufficiale. Cioè, molto più grave.

Insomma, la situazione è ancora molto fluida. Di certo c'è che nell'ordinanza il gip Riccardo Amoroso, descrivendo l'assalto al blindato, sottolinea come a un certo punto esso si sia trasformato in aggressione fisica al carabiniere che lo guidava. Il militare è stato prima colpito da tergo con un palo e poi costretto ad abbandonare il mezzo dato alle fiamme e a darsi alla fuga sotto una fitta sassaiola, riportando diverse lesioni. In questo contesto vengono identificati i teramani Davide Rosci e Mauro Gentile e i moscianesi Marco Moscardelli, Mirco Tomassetti e Cristian Quatraccioni (i primi tre difesi da Filippo Torretta, gli altri da Nello Di Sabatino). Anche se travisati, sarebbero stati incastrati dai vestiti che indossavano. Gli stessi vestiti filmati con mossa preveggente delle forze dell'ordine di Teramo, che hanno ritenuto di immortalare la partenza del pullman diretto alla "Giornata dell'indignazione".

Su questa parte delle accuse - ovvero la resistenza pluriaggravata a pubblico ufficiale - c'è poco da discutere, anche se va chiarito che nessuno dei teramani viene accusato di condotte da tentato omicidio, come l'aver dato alle fiamme il blindato con il carabiniere dentro. Rosci, Moscardelli e Tomassetti sono fotografati mentre si accalcano intorno al mezzo; Gentile è ripreso mentre scaglia diversi sassi contro il carabiniere che abbandona il blindato e fugge. Quanto a Quatraccioni, scaglia sassi contro un altro blindato e le forze dell'ordine. Un sesto teramano, Roberto Rastelli di Mosciano, non è stato arrestato perché ripreso mentre scaglia una bottiglia di birra non si sa contro chi.

Il secondo capo d'imputazione, il più grave, viene addebitato a tutti i 22 giovani per i quali il pm ha chiesto la misura cautelare, ed è devastazione e saccheggio: un reato punito con la reclusione da 8 a 15 anni (la resistenza prevede da 6 mesi a 5 anni). Il punto è che nell'imputazione il gip scrive di reati commessi «in concorso con altre centinaia di soggetti tutti contemporaneamente presenti lungo il tragitto via Cavour-via Labicana-via Merulana-piazza San Giovanni, tutti cospiranti verso il medesimo complessivo risultato di pregiudizio all'incolumità pubblica». E cita una serie di fatti di devastazione e saccheggio per i quali sono stati identificati giovani che però non sono i teramani di piazza San Giovanni. «Questa è un'anomalia», dice l'avvocato Torretta, «così come è una forzatura parlare di premeditazione degli incidenti, almeno quelli di San Giovanni. Qui è stato il comportamento delle forze dell'ordine a scatenare una reazione».

Una nota di Rifondazione Comunista, il partito per il quale Davide Rosci si è candidato alle ultime comunali a Teramo, recita: «La presunta partecipazione del compagno Rosci agli scontri di piazza San Giovanni va contestualizzata. La piazza era stata chiusa dalle forze dell'ordine che, schierate in tenuta antisommossa, lanciavano lacrimogeni e impedivano a chiunque di allontanarsene; inoltre blindati della polizia e dei carabinieri giravano a forte velocità intorno ai manifestanti, con il rischio che qualcuno potesse essere investito».

La battaglia legale e politica sugli arresti di venerdì è già aperta. In attesa degli interrogatori, gli avvocati dei cinque annunciano il ricorso al tribunale del riesame per chiedere la loro liberazione o in subordine una misura cautelare meno grave (obbligo di dimora, obbligo di firma).

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