Teramo, chiesti dieci anni per l'evasione da 30 milioni

Il pm non fa sconti ai 13 imputati accusati di aver raggirato il Fisco, tra di loro il manager Di Bernardo e un ex carabiniere

TERAMO. Per la sentenza bisognerà attendere l’8 marzo, ma il processo a 13 imputati per l’evasione fiscale da trenta milioni di euro con un giro di false fatturazioni ieri è arrivato al capolinea con le richieste della pubblica accusa e le prime arringhe dei difensori. Davanti al giudice monocratico Roberto Veneziano il pm Donatella Capuano ha chiesto 2 anni e 10 mesi per l’imprenditore teramano Bruno Di Bernardo, 51 anni, arrestato nel 2009 nell’ambito della maxi inchiesta della guardia di finanza; un anno e 7 mesi per Gabriella Toth, 42 anni; 2 anni e 3 mesi per l'ex carabiniere Angelo Piscella, 59 anni; un anno e 7 mesi per Antonio Zacchei, 58 anni; un anno e un mese per Emilio D’Egidio, 48 anni; un anno per John Verdecchia, 41 anni; un anno e 7 mesiper Marco Paolo Di Anastasio, 53 anni; un anno per Paolo Dari, 30 anni, e 6 mesi per Gabriele Di Sante, Enio Fazzini, Giuseppe Cesaroni e Peter Kozar. Tutti sono accusati, a vario titolo, di violazioni di leggi finanziarie che, secondo l’accusa, sarebbero stati consumati tra il 2004 e il 2007. L'inchiesta è del sostituto procuratore David Mancini (da qualche tempo in servizio all'Aquila). Secondo investigatori e inquirenti attraverso un giro di compravendite immobiliari fittizie avrebbero evaso somme per circa trenta milioni di euro. L'indagine era nata da alcune fatture sospette trovate in una società perquisita nell' ambito di una precedente indagine collegata al sequestro di 32 abitazioni ad Alba Adriatica. Il successivo sviluppo della documentazione acquisita aveva portato i militari ad approfondire i documenti contabili di un'azienda teramana che aveva emesso diverse fatture per operazioni commerciali risultate poi fittizie. L'inchiesta si è poi allargata ad altre società che, pur risultando avere sede legale in altre regioni (Lazio, Marche e Piemonte), di fatto, sempre secondo l'accusa della procura, operavano nell'hinterland teramano attraverso un collaudato sistema di frode basato su un giro di fatturazioni false relative, principalmente, a simulate compravendite immobiliari. All'epoca gli investigatori individuarono 15 società, operanti in parte nel settore immobiliare e in parte nella vendita di materiale di pulizia ed igiene. Ci furono indagini complesse e lunghe, sfociate anche in alcuni sequestri. Secondo gli investigatori e gli inquirenti pur cambiando la denominazione della società che subentrava nella proprietà degli immobili, di fatto questi rimanevano sempre nella disponibilità del gruppo di imprenditori e non. Le operazioni immobiliari, secondo l'accusa, erano tutte simulate, prive di un effettivo contenuto economico. Secondo gli investigatori un mero schermo finalizzato solo a nascondere la maxi evasione di imposta.

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