Teramo, Crac Di Pietro: spariti 15 milioni di euro

La procura avvia una ricerca di documenti anche in Gran Bretagna

TERAMO. Un'altra rogatoria internazionale per chiarire il dietro le quinte del crac Di Pietro. Una bancarotta che sfiora i 15 milioni di euro e le cui dimensioni si vanno delineando di giorno in giorno soprattutto dopo il coinvolgimento di due due società le cui quote sono state sequestrate nello studio Chiodi-Tancredi, il presidente della giunta regionale e il suo socio commercialista Carmine. La nuova rogatoria che la procura ha chiesto alla Gran Bretagna si aggiunge a quella già in corso con la Svizzera. Gli indagati restano sei (di cui quattro arrestati), ma non è escluso che qualche altro nome possa aggiungersi al rientro di questi atti esteri.

Per questo il pm Irene Scordamaglia, che nei prossimi giorni sentirà gli altri indagati, ha disposto nuove indagini delegando la guardia di finanza. Accertamenti specifici, anche bancari, per ricostruire con matematica certezza il passaggio di un fiume di soldi su conti italiani ed esteri, ma anche per verificare le nuove ricostruzioni fatte da Maurizio Di Pietro e Guido Curti, i due dei quattro imprenditori arrestati ancora in carcere e per i quali il tribunale del Riesame ha respinto il ricorso. Gli stessi qualche giorno fa sono stati risentiti dal pm proprio su loro richiesta. Fino a questo momento le indagini hanno accertato che quattro società - tutte riconducibili ai Di Pietro, a Curti e alla moglie di quest'ultimo (libera dopo il pronunciamento del Riesame) - sono fallite una dopo l'altra.

Una sorta di effetto domino, dunque, accompagnato da uno spostamento di denaro da una società all'altra con sottrazione di soldi ai creditori. Denaro che - per l'accusa - è stato fatto rientrare in Italia attraverso un giro di depositi su conti svizzeri, banche inglesi e società cipriote. Si tratta della Dreamport Enterprises Limited e della Ruclesarn Investiments Limited che hanno il 99% delle quote della Kappa Immobiliare e della De Immobiliare Srl, le due società con sede legale nello studio Chiodi-Tancredi e per cui il gip Marina Tommolini ha accolto la richiesta di sequestro preventivo delle quote fatto dalla procura. Un dato: nessuno, nei dieci giorni indicati dal codice, ha presentato ricorso al tribunale del Riesame per chiederne il dissequestro.

Ora saranno amministrate da due avvocati e due commercialisti nominati dal tribunale. Ma la ricostruzione sin qui messa nero su bianco dagli inquirenti è chiara: quei soldi sottratti ai creditori, spesso ripuliti anche nei casinò, sono stati usati per acquistare immobili, da alcuni appartamenti nel Qatar ad uno stabilimento balneare di Roseto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA