Medici in Burundi, il racconto di Michele Grasso
"Non è facile descrivere l’emozione che si prova quando si entra in un orfanotrofio, specialmente uno come quello di Bubanza, immerso nel verde e nella quiete delle colline burundesi. Ad accoglierci le danze e canti delle suore della diocesi locale che fanno da contrasto agli occhi curiosi e carichi di timore: per molti di questi bambini, era la prima volta che vedevano degli uomini bianchi. Gli uomini bianchi, nella lingua locale Muzungu, sono gli spettri che si aggirano di notte e rubano i bambini monelli, la minaccia dell’uomo nero ribaltata nell’altro angolo della terra. Il nostro arrivo ha spezzato la quotidianità con un carico di peluche colorati e manciate di caramelle, semplici doni che hanno avuto il potere di trasformare l’imbarazzo in stupore, e il timore in un’esplosione di sorrisi. All’inizio, si nascondevano dietro le suore, scrutando con cautela. Ma è bastato il primo abbraccio stretto a un orsetto di pezza, il primo gusto zuccherino sciolto in bocca, per rompere il ghiaccio. In pochi minuti, il cortile si è riempito di risate, mani tese e occhi brillanti. Nessuna parola era necessaria: la lingua universale dell’affetto aveva già detto tutto. La visita si è conclusa troppo in fretta, ma i sorrisi che ci siamo scambiati — sinceri, timidi, pieni di gratitudine — resteranno impressi nei cuori, come un piccolo, grande miracolo di umanità condivisa". È il racconto di Michele Grasso, 33enne originario della Provincia di Benevento, che si è laureato in Medicina e Chirurgia all'Università dell'Aquila, dove per anni è stato rappresentante degli studenti. Oggi è il Presidente nazionale dell'Associazione Italiana Specializzandi in Ortopedia e Traumatologia. È alla sua prima missione in Burundi con la Fondazione Italiana Medici per l'Africa Centrale (Fimac) onlus. Con tutta la delegazione sta eseguendo interventi chirurgici di traumatologia per gli indigenti, ma nei giorni scorsi hanno visitato anche l'orfanotrofio di Bubanza. Lì i bimbi sono orfani di madre, solitamente non sopravvissuta al parto, e i padri non hanno la possibilità di crescerli. Così fino a tre anni di età sono affidati alle suore e a Padre Salvatore.