Abruzzo, le ragioni della speranza

Lo scrittore D'Alessandro: aggrappati a un salvagente ma possiamo farcela

PESCARA. Giovanni D'Alessandro è un abruzzese nato in Romagna che vive e lavora a Pescara. E' un romanziere, uno scrittore con diversi libri di successo all'attivo (da «Se un dio pietoso» dell'esordio narrativo nel 1996 all'ultimo, «Sulle rovine di noi», dell'anno appena trascorso) e un collaboratore delle pagine culturali del Centro, giornale su cui tiene, da anni, una rubrica, «Porto franco», in cui intercetta e commenta i mutamenti del costume. A lui abbiamo chiesto di parlare dello stato d'animo dell'Abruzzo che entra nel 2011 uscendo da due anni tremendi: il 2009 del terremoto all'Aquila e il 2010 dell'esplosivo debito regionale.

Qual è lo stato d'animo di uno scrittore abruzzese davanti all'anno nuovo, dopo il biennio tremendo che abbiamo alle spalle?
«Vorrei dire che affronto l'anno nuovo con l'innato ottimismo, quello profondo non propalato dai politici, che appartiene al Dna abruzzese. Ma anche, a meno di non voler essere ipocrita, risentendo di questi sconvolgimenti che hanno duramente intaccato la forma e la sostanza dell'Abruzzo negli ultimi due anni, e con flussi che probabilmente venivano anche da prima, ponendolo come un'icona negativa sul piano nazionale».

Di che cosa hanno più bisogno gli abruzzesi oggi?
«Di un futuro. Di essere sollevati dalle motivate preoccupazioni che si fanno sentire nel centrosud d'Italia, con differenti gradazioni, molto più che nell'Italia del nord. E quindi in primis di ridare un futuro ai giovani in termini di occupazione degna di questo nome e, quanto al presente, di riallinearsi alle altre regioni del nord Italia cui negli anni '60 e '70 sembrava collegarsi con il famoso Asse di sviluppo adriatico, in termini di servizi. Uscendo dal disastro della sanità, dalle carenze di governance, dalla tragedia del terremoto; dandosi delle infrastrutture che non ha assolutamente, basti pensare ai trasporti; e ritrovando una identità culturale ma anche socio-politica ed economica che non è stato in grado di agganciare forse mai».

Che cosa, invece, gli abruzzesi devono imparare a dare e fare di più?
«A riappropriarsi di un orgoglio, a capire che vivono in una regione tra le più belle d'Europa con un formidabile retroterra storico e culturale. A puntare sulla valorizzazione turistico-culturale della loro regione. Io sono nato sulla costa romagnola. Guardate come i romagnoli hanno fatto diventare, da 80 anni a questa parte, una plaga sabbiosa alle foci del Po. Quando, negli anni '50 e '60, i romagnoli venivano in Abruzzo dicevano: se avessimo una costa così straordinariamente bella e varia, col mare di sabbia e di scoglio, per non parlare dell'interno che sembra la Svizzera, non avete idea di cosa potremmo farla diventare».

L'ultima inchiesta del Sole 24 Ore sulla qualità della vita dà le province abruzzesi in picchiata: dipende solo da chi governa e amministra città, Province e Regione?
«Condivido il calo in picchiata espresso dal Sole 24 Ore e mi irrita chi, per malafede o malinteso campanilismo, non è d'accordo con i risultati di quell'inchiesta. Per la qualità della vita l'Abruzzo sta diventando un vagone deragliato rispetto alle molto meno belle regioni del Nord. Di chi è la responsabilità? In primo luogo della classe politica e non parlo solo di quella attuale - il degrado è in atto da molto piu tempo - ma anche del singolo cittadino che tiene comportamenti spesso obiettivamente incompatibili con una valorizzazione della sua terra. Penso al traffico che affligge Pescara, penso al fatto che la costa è una capitale del rumore. Mentre in tutta Europa e nel nord Italia crescono le città car-free, cioè con isole pedonali, qui abbiamo un traffico nordafricano, una rumorosità assurda; e questo non dipende, quanto meno, solo dalla classe politica. Non vorrei dirlo ma, accanto alla civiltà abruzzese, esiste anche un'inciviltà tutta abruzzese».

Lo stato della cultura abruzzese qual è?
«La cultura abruzzese manca di propellente. E' un autoparco di astronavi tenute ferme ad arruginirsi. Basti pensare agli importanti premi letterari, radicati qui e che tutti gli editori nazionali conoscono, oggi afflitti dalla riduzione dei fondi per la cultura, che è un fatto nazionale, e francamente anche da una strana sperequazione nei fondi destinati alle singole realtà provinciali con una Teramo, città che amo moltissimo, che non può avere quattro volte i fondi di Pescara. E cosa dire della depressione di aree di millenaria tradizione dal punto di vista culturale, come la Conca peligna o la Marsica?

Come giudica l'affidamento, da parte del comune di Pescara, a Giordano Bruno Guerri dell'incarico di manager dell'immagine della città nel mondo?
«Posso condividere il collegamento con altre realtà gravitanti sulla cultura abruzzese con il Vittoriale. Non condivido, però, la extra-territorialità di personaggi contrattualizzati per valutare un Abruzzo di cui sanno poco e a cui, temo, saranno ben poco interessati a contratto finito».

Durante la Grande depressione economica (e psicologica) degli anni '30, Roosevelt diceva: l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa. Sottoscriverebbe?
«Che ci sia una certa depressione non si può negare. Occorrerebbe uno scatto di orgoglio, ma per farlo l'energia o il coraggio - per rispondere a Roosevelt con Manzoni - uno, se non ce l'ha non può darseli da solo. La politica deve ridare carburante alla collettività. Da sola. quest'ultima non può reagire a un certo metus, a una certa paura. Non vorrei dire una frase a effetto, ma ciò che segna il gap di questa regione è il fatto che la collettività non ha accesso alle istituzioni che dovrebbero rappresentarla; oppure tale accesso è frammentario, discontinuo, parziale e inquinato nei meccanismi di rappresentatività. Ed è un processo, questo, che dura ormai da decenni».

Nel 2010 ha scorto in giro un episodio, un gesto, una faccia che ha interpretato come segnale di speranza per la risalita, anche psicologica, della regione?
«No. Se non un abbracciarsi degli abruzzesi alla loro storia e alla loro cultura in modo spontaneo, in alcune realtà, ma come a un salvagente in mezzo al mare, non per riprendere a navigare».

La prima cosa che pensa di fare nel 2011 per sentirsi bene?
«Andare a fare una delle mie solite escursioni sulle cime dei monti. Ascoltare il vento tra le chiome degli alberi mentre mi affretto a discenderne prima che cali il buio, sentendo un po' di neve crocchiare sotto gli scarponi. Riascoltare quei suoni, invariati nei millenni, che sono propri dell'Abruzzo, e confermarmi, quindi, nella certezza, pur con tutto ciò che abbiamo detto finora, che questa è una delle regioni più belle del mondo».

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