Addio a Romano Canosa, lo storico del Fascismo

Il magistrato aveva compiuto 75 anni venerdì scorso, si è spento sabato nella sua casa di Ortona

ORTONA. Venerdì scorso, nel giorno del suo 75º compleanno, nella sua Ortona è stato presentato il suo ultimo lavoro, «Storia dell'Abruzzo in età giolittiana» (Menabò). Meno di 24 ore dopo, alle 18 di sabato, si è spento. Romano Canosa, ortonese, era uno storico di grande valore. Gli ultimi mesi, dopo aver passato quasi tutta la vita fuori dall'Abruzzo, prima a Roma e poi a Milano, li aveva vissuti nella sua città natale, dove ha deciso di morire.

Con il conforto della moglie, Isabella Colonnello, anche lei ortonese (anche se nata a Nuova Delhi), Canosa è morto nella casa di via Costantinopoli, in pieno centro.
I funerali si terranno questa mattina, alle 10, nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. La coppia non ha figli.

«Lo scorso anno presentammo il suo libro Il giudice che scriveva lettere d'amore», spiega Gaetano Basti, editore di Menabò e amico intimo di Canosa, «e fu la prima manifestazione all'interno del castello aragonese restaurato. Già allora però aveva i primi sintomi della malattia. A ottobre, purtroppo, gli esami e la conferma. E' stato operato a Milano ma la malattia era a uno stadio troppo avanzato. Gli ultimi mesi era tornato nella sua Ortona. E la moglie aveva preferito curarlo a casa ed evitargli lo strazio degli ospedali visto che ormai non c'era più niente da fare. Venerdì scorso avevamo presentato nella biblioteca diocesana il suo volume. Era venuto a Ortona un suo caro amico, Franco Rositi, docente all'università di Pavia, anche lui abruzzese di origine. Era il suo compleanno, aveva compiuto 75 anni. E il giorno dopo è morto».

Quale ricordo ha di questo grande intellettuale?
«Era una persona straordinaria di un rigore morale incredibile. Lui è stato un importante giudice del lavoro e ha svolto questa professione fino a pochi anni fa. E' stato uno dei fondatori di Magistratura democratica anche se poi se ne è allontanato anche con posizioni molto critiche. La sua vita è stata contraddistinta dal suo essere sempre molto libero e indipendente, su tutto. Forse proprio per questo aveva questa enorme passione per la storia. Ha scritto più di 70 libri, di cui molti con Mondadori, Feltrinelli, Einaudi, Sellerio. Con noi di Menabò ha firmato 16 libri, e ha dotato l'Abruzzo di un corredo storiografico che forse nessun altra regione ha. Ha scritto libri dall'età Farnesiana, dal 1500, a oggi. Tutti i volumi che ha firmato attingevano sempre alle fonti di archivio, andava in giro per tutta l'Italia e anche all'estero per fare le ricerche. E lo faceva sempre a proprie spese. Per noi è una grande perdita, ovviamente, se ne va un amico rigororoso».

E nella sua professione, che tipo di giudice era?
«L'ultimo impegno lo ha avuto a Milano. Era giudice del lavoro. E ottenne importanti risultati a livello nazionale. Tra le tante cose, negli anni Settanta, fece reintegrare tremila lavoratori dell'Alfa Romeo. E' stato un protagonista».

La famiglia è ancora a Ortona?
«Sposato con Isabella Colonnello, non hanno avuto figli, e lui non ha più parenti. La moglie è nata in India, anche se è originaria di Ortona pure lei, perché il padre di Isabella affrescò la reggia del vicerè di Nuova Delhi. Isabella gli è stato vicino in questa fase finale, ovviamente, ma è stata una compagna molto importante nel lavoro di storico. Il volume "Il giudice che scriveva lettere d'amore", per esempio, è basato su un processo tenutosi a Lanciano nei primi del 1600: un giudice di Ortona che fece ammazzare il marito della sua amante».

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