Allevatori abruzzesi alla battaglia per il latte “doc”

Petronio: sulla quantità perdiamo contro paesi come la Polonia o la Slovaccia. Ci può salvare solo la qualità

CASTEL DEL MONTE. «Nella produzione di latte e latticini bisogna portare avanti un discorso di qualità, magari legato alle specificità del nostro territorio altrimenti, sulle quantità abbiamo già perso in partenza». Giulio Petronio, 56 anni titolare di uno degli allevamenti ovini e bovini più fiorenti dell’Aquilano, commenta così la mobilitazione nazionale, promossa da Coldiretti, in difesa della produzione made in Italy. Una manifestazione che ha registrato iniziative in tante piazze d’Italia, con tanto di “mungiture collettive”. Venerdì scorso, in Campidoglio, c’è stato uno dei sit-in più eclatanti, per chiedere l’applicazione di una legge che vieta pratiche di commercio sleale, la trasparenza sui dati relativi alle importazioni di latte e di prodotti con derivati del latte (compresa la tracciabilità delle risorse utilizzate), l’indicazione obbligatoria dell’origine nelle etichette del latte (anche Uht) e dei formaggi, oltre alla garanzia che venga chiamato “formaggio” solo ciò che deriva dal latte.

Anche un centinaio di allevatori abruzzesi ha raggiunto la capitale, tenendo conto anche delle specificità regionali di un comparto latte che sfiora quasi 800mila quintali di produzione in Abruzzo, per un movimento complessivo di 37milioni di euro (30milioni derivanti dal latte bovino e 7milioni dal latte di pecora e capra). Una filiera, tuttavia, che rischia di estinguersi velocemente se non viene sostenuta. «Pur non avendo partecipato alla manifestazione della scorsa settimana», valuta Petronio, «giudico fondate le preoccupazioni dei miei colleghi, perché con il libero mercato europeo, la concorrenza di Paesi come la Polonia, la Slovacchia o l’Ucraina – frenata, tuttavia, in questi ultimi mesi dalle tensioni con Mosca – può contribuire ad abbassare di gran lunga il prezzo del latte». Negli ultimi anni, l’importazione è cresciuta. Coldiretti ricorda che, a fronte degli 800mila quintali di latte bovino prodotti in Abruzzo, ce ne sono 1.400.000 importati dall’estero. Un discorso che potrebbe complicarsi ulteriormente con la scomparsa delle quote latte. Nei giorni scorsi, Ludovico Monforte, funzionario di Unioncamere a Bruxelles, aveva avvertito i sindaci abruzzesi in visita al parlamento europeo che, una volta tolti i limiti, le grandi produzioni lattiero-casearie del nord, avrebbero immesso nel mercato una grande quantità di latte e latticini. Monforte aveva fatto riferimento ad aziende straniere che da tempo hanno potenziato i propri stabilimenti per prepararsi alla sfida. Una sfida che giocoforza avrebbe “inondato” tanti allevatori italiani anche quelli, paradossalmente, che per molto tempo hanno manifestato per l’abolizione delle quote latte. «Qui si punta a rivedere il prezzo di qualche centesimo al litro», afferma Petronio, «quando stiamo andando incontro a un deprezzamento senza precedenti». In particolare, la materia prima viene pagata agli allevatori in media 35 centesimi al litro, mentre al consumo il costo medio del latte di alta qualità è di 1,50 centesimi. «Una volta bastavano 5-6 mucche per far mangiare un’intera famiglia. Adesso il confronto non regge, se si compete contro stabilimenti da 200 capi. Per questo», sottolinea, «l’obiettivo primario è puntare sulla qualità. Ad esempio, insieme all’azienda di mio figlio Claudio, possediamo 1.300 ovini e 30 mucche. I nostri bovini, nel periodo di lattazione, producono una media di 20 litri al giorno, poca cosa se paragonata ad allevamenti esteri. Per questo motivo, abbiamo orientato la produzione verso il formaggio e derivati, investendo nella realizzazione di prodotti tipici come il canestrato di pecora di Castel del Monte».

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