Angelini, l'ex re delle cliniche è libero Il riesame: "Non può inquinare le prove"

Revocati gli arresti domiciliari. Il Riesame: Angelini non poteva inquinare le prove. I giudici aquilani accolgono i motivi della difesa e annullano l’ordinanza chiesta dalla procura teatina

CHIETI. Vincenzo Angelini non ha inquinato le prove e non c’era nessun rischio che potesse ripetere il reato di bancarotta fraudolenta, per questi motivi non andava arrestato. Lo dicono i giudici del tribunale del riesame dell’Aquila.

Ieri mattina la decisione. I giudici aquilani hanno accolto l’istanza dell’ex re della sanità privata, assistito dall’avvocato Sabatino Ciprietti, e annullato l’ordinanza di custodia cautelare a casa, richiesta del pool di magistrati della procura di Chieti e firmata il 27 aprile scorso dalla giudice per le indagini preliminari Marina Valente. Insomma secondo il Riesame non era necessario ai fini delle indagini che Angelini, il grande accusatore, che con le sue dichiarazioni ha falcidiato la ex giunta regionale di centrosinistra - mandando in galera e poi politicamente a casa l’ex governatore Ottaviano Del Turco - indagato per un crack di 200 milioni di euro, fosse «fermato» e costretto nella sua abitazione di Francavilla affinché non inquinasse prove e ricommettesse il reato di bancarotta. La decisione giunge a 24 ore dall’inizio dell’udienza preliminare al tribunale di Pescara, contro l’ex presidente della Regione e altri 33 imputati. I giudici del Riesame hanno accolto le dieci pagine di motivazioni dell’avvocato Ciprietti.

«Angelini», dice il difensore, «è stato sottoposto a un setaccio mediatico-giuridico da 3 anni, plurispezionato nella struttura sanitaria e nella sua abitazione, sono state ascoltate persone, testimoni, consulenti, gli elementi sono già scritti e documentati, ci sono i bilanci e sue interpretazioni. Inquinare le prove sarebbe stato impossibile». Per il secondo punto, la reiterazione del reato, che ha portato la procura di Chieti a chiedere il suo arresto, l’avvocato aggiunge che il suo assistito dal 2009 non è più amministratore della clinica. «Come avrebbe potuto fare a ripetere la bancarotta, tipico reato fallimentare, solo procurandosi un’altra società e fraudolentemente farla fallire. La verità, sostiene Ciprietti, è che il crack di Angelini è conseguenza del blocco delle sue attività, procurato dai pagamenti non fatti da parte della Regione, dalle ispezioni sanitarie ripetute che hanno messo al setaccio la clinica e le sue strutture». L’avvocato aggiunge che certamente non avrebbe potuto salvare l’azienda con la vendita di un’opera d’arte. Ma il re delle cliniche è stato sorpreso dalla Guardia di Finanza mentre svuotava i suoi «forzieri». «L’ho ha fatto alla luce del giorno, credendo di poter disporre di roba sua, di ciò acquistata chissà quanti anni fa. La strada di Angelini era segnata».

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