Blue tongue: l’epidemia non si ferma e i focolai ora sono 140, colpite tutte le province

L’epidemia di “lingua blu”, la febbre catarrale degli ovini, non si arresta ma continua a diffondersi, minacciando una filiera importante e identitaria per l’Abruzzo che conta un patrimonio da quasi 200mila pecore
PESCARA. Dai primi casi nell’Aquilano ai 140 focolai sparsi a macchia d’olio in tutta la regione. In un solo mese. L’epidemia di “lingua blu”, la febbre catarrale degli ovini, non si arresta ma continua a diffondersi, minacciando una filiera importante e identitaria per l’Abruzzo che conta un patrimonio da quasi 200mila pecore. «Il virus potrebbe dare il colpo di grazia al settore», dicono gli allevatori preoccupati. Intervistato dal Centro, il direttore sanitario dell’istituto Zooprofillatico di Teramo, Giacomo Migliorati, aveva presentato uno studio sui possibili sviluppi epidemiologici del virus. «Nella peggiore delle ipotesi», aveva detto, «nel giro di cinquanta giorni (oggi 35, ndr), il virus potrebbe espandersi in tutta la regione», aggiungendo che «La vaccinazione è l’unica soluzione». Fino ad ora, però, la Asl ha preferito lasciare alla discrezione degli allevatori l’opportunità di procedere o meno alla vaccinazione. I focolai, intanto, aumentano. L’ultimo caso è stato registrato a Sant’Angelo, nel Pescarese, dove le infezioni continuano ad aumentare.
A trasmettere la malattia è un moscerino della famiglia “Culicoides”. Non è trasmissibile all’uomo e attacca anche i bovini, ma è sugli ovini che ha effetti potenzialmente mortali. A dare particolare preoccupazione è la velocità con cui il virus sta viaggiando lungo il territorio. L’istituto Zooprofilattico di Teramo fornisce un database aggiornato sullo stato dell’epidemia. Qui si legge che la prima infezione in Abruzzo non è stata in estate, quando la malattia è scoppiata, ma ben quattro mesi prima: lo scorso febbraio un bovino era risultato positivo alla lingua blu. «Nessun allarme, è un caso isolato», si diceva allora. E in effetti quel focolaio è l’unico che oggi l’istituto Zootecnico definisce «estinto».
A giugno la malattia è tornata a manifestarsi. E si è moltiplicata nel giro di pochi giorni. Il 18 del mese vengono registrati due casi a Carsoli, nell’Aquilano. Cinque giorni dopo, i focolai salgono a dieci. Sono tutti in provincia di Teramo, tra Crognaleto, Cortino, Campli, Valle Castellana e Rocca Santa Maria. La paura comincia a serpeggiare tra gli allevatori. Coldiretti Abruzzo mette in guardia la Regione, chiedendo di intervenire a sostegno della filiera. Alla fine del mese i focolai sono più di 50, ormai sparsi su tutto il territorio. Il primo caso nel Chietino si registra a Roccaspinalveti, nel Pescarese a Carpineto della Nora. Numeri alla mano, attualmente il virus continua a essere maggiormente diffuso nelle province dell’Aquila e Teramo (anche se qui il quadro clinico sembra in leggero miglioramento) ma è ben presente anche tra Penne, Popoli, Farindola, Lettomanoppello, e Pianella. A inizio luglio la Asl ha pubblicato le linee guida da seguire per affrontare l’epidemia. Viene confermato che la vaccinazione «è l'unico strumento riconosciuto realmente efficace per contrastare gli effetti della malattia», rimanendo comunque «consigliata». Così come «l’utilizzo di sostanze ad azione insetticida/repellente in tutti gli allevamenti», che diventa obbligatorio solo nel caso di «aziende sospette infette o con infezione confermata». Viene precisato, però, che «qualora questa autorità sanitaria dovesse ritenere indispensabile il ricorso ad un'immunizzazione di massa, potranno essere coinvolti nelle attività i servizi veterinari Asl che, attraverso il proprio personale sarà chiamato ad intervenire contribuendo al raggiungimento degli obiettivi fissati».