Accompagnato dall’avvocato Ciprietti il grande accusatore era scortato dagli uomini della Digos e delle Fiamme gialle

Buco da 200 milioni, Angelini non parla

Da 8 giorni ai domiciliari l’ex re delle cliniche si avvale della facoltà di non rispondere

CHIETI. Non ha detto una parola l’ex re delle cliniche Vincenzo Angelini al Gip Marina Valente. Il grande accusatore, agli arresti domiciliari da otto giorni per bancarotta fraudolenta per 200 milioni, che ha parlato per giorni e giorni ai magistrati di Pescara sull’inchiesta sanitopoli e mandato in galera l’ex presidente della Regione Ottaviano Del Turco si è avvalso della facoltà di non rispondere. Angelini è entrato in tribunale alle 9,20 e ne è uscito alle 9,50.

Ieri mattina, su largo Cavallerizza, all’ingresso secondario del palazzo di giustizia, c’era una pletora di telecamere, giornalisti e fotoreporter, e il tribunale era presidiato da tantissimi finanzieri e uomini della Digos teatina. Angelini è arrivato sulla auto della Guardia di Finanza insieme con il suo avvocato Sabatino Ciprietti. Entrambi seduti sul sedile posteriore della macchina. L’ex magnate della sanità privata è sceso dalla vettura. Lentamente. Sfidando una temperatura che ieri mattina ha raggiunto anche i 27 gradi, Angelini era avvolto da un cappotto invernale blu, completamente abbottonato. Al collo una sciarpa di seta azzurra. Calzava jeans.

Barba lunga bianca, il volto pallido, ma dagli occhi non trapelava alcuna emozione, nessuna espressione che tradisse uno stato d’animo particolare. Solo all’uscita ha abbozzato un sorriso davanti agli obiettivi. Forse ironico. Angelini è entrato dalla porticina su largo Cavallerizza scortato dalle fiamme gialle e uomini della Digos. Lì ha attraversato il corridoio del vecchio edificio per raggiungere dall’interno del palazzo l’ala opposta, ex Galliani, fino a raggiungere l’aula 3, attualmente destinata alle udienze civili. Dentro, ad attenderlo, c’erano la giudice Valente e il pool di magistrati Pietro Mennini, Giuseppe Falasca e Andrea Dell’Orso. Nome cognome, data di nascita e lettura delle ipotesi accusatorie. «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere».

L’interrogatorio di garanzia si è concluso. Saluti e via di nuovo nella sua abitazione di Francavilla. Nessuna richiesta di scarcerazione è stata inoltrata al Gip da parte dell’avvocato Sabatino Ciprietti che invece ha impugnato l’ordinanza di arresti domiciliari, subito dopo la notifica del 27 aprile, al tribanale del riesame. Le motivazioni del difensore a sostegno dell’appello sono state depositate ieri e i giudici aquilani dovranno decidere presto. Hanno 10 giorni di tempo dal momento della notifica.

Angelini è stato arrestato per bancarotta per distrazione, documentale e aggravata dal falso in bilancio. Secondo le ipotesi degli investigatori Angelini avrebbe fatto continui prelievi dai conti della clinica privata in favore di sé stesso e della holding del gruppo, la Novafin. Il periodo sotto accusa è dal 2008 al 2009. Il buco creato ammonterebbe a 200 milioni di euro. L’inchiesta dei pm di Chieti proviene da uno stralcio dalle indagini dei colleghi di Pescara durante le quali l’ex re delle cliniche aveva chiamato in correità politici della Regione di centrosinistra, accusandoli di aver preso tangenti per 12 milioni di euro.

Accuse che portarono all’arresto dell’allora presidente Ottaviano Del Turco. Gli inquirenti di Pescara, guidati dal procuratore Nicola Trifuoggi, a indagini quasi finite, hanno inviato gli atti relativi al crack di Angelini ai colleghi di Chieti, competenti per territorio, ma prima ancora del trasferimento del fascicolo le fiamme gialle di Pescara avevano sequestrato già le mura della clinica Villa Pini. Febbrile l’attività della Guardia di finanza di Chieti che dopo la nomina di un consulente tecnico da parte della procura, affinché spulciasse sui conti del patrimonio della famiglia Angelini e sulla gestione della clinica, hanno avviato sequestri nei suoi garage.

Oggetti d’arte, tele d’autore e pezzi antichi di pregio. Un autentico tesoro, ma secondo gli inquirenti solo una parte di un patrimonio ben più consistente che è ancora nel mirino degli investigatori.
La richiesta di arresti è stata conseguente a un comportamento dell’indagato che secondo gli investigatori stava inquinando le prove. Inoltre nella convizione che esista un patrimonio ancora nascosto, c’era il rischio concreto che Angelini potesse ripetere il reato.

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