Cancro al pancreas, speranza dall'Abruzzo

8 Ottobre 2010

Tre scienziati della regione fra gli autori di una ricerca che apre prospettive alla cura

CHIETI. Il genio abruzzese nella scoperta di nuovi orizzonti per la terapia e la cura del cancro al pancreas. Una ricerca, condotta da laboratori inglesi, tedeschi e italiani, ha individuato il legame tra la proteina P110gamma e questa forma di cancro. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Clinical Cancer Research, ha posto così le basi per scovare il prima possibile questo male e combatterlo con farmaci mirati.

Nel team di ricerca figurano Marco Falasca, studioso pescarese al lavoro nel Barts and the London School of Medicine and Densistry della Queen Mary University londinese, coordinatore del lavoro, e altri due studiosi impegnati a Chieti.

Si tratta di Federico Selvaggi e di Paolo Innocenti, direttore della Patologia chirurgica dell'ospedale di Chieti e del dipartimento di scienze chirugiche sperimentali e cliniche dell'ateneo D'Annunzio.

Della squadra hanno fatto parte anche i ricercatori dell'università di Heidelberg, in Germania, e Luigi Di Sebastiano della Casa Sollievo della sofferenza a San Giovanni Rotondo in provincia di Foggia, coautore del lavoro.

L'equipe ha lavorato per 5 anni, analizzando circa 100 campioni di tessuto tumorale, per vedere se particolari tipi di proteine sono collegate alla crescita cellulare nel tessuto pancreatico normale o in quello tumorale.

«E' emerso che la P110gamma è presente nel 70-80 per cento dei pancreas affetti da cancro», dice Federico Selvaggi, «e manca, invece, nel pancreas sano. Dunque questa proteina è una spia specifica per l'evoluzione del tumore».

I ricercatori in laboratorio hanno anche notato che, bloccando la proteina, si interrompe la crescita delle cellule cancerose.

«Il fatto che le cellule tumorali del pancreas abbiano bisogno della P110gamma per crescere», osserva Marco Falasca, docente di Farmacologia molecolare, «dimostra che questa proteina ha probabilmente un ruolo chiave nella progressione della malattia e ciò la rende un potenziale bersaglio per lo sviluppo di nuovi trattamenti».

Ma la ricerca non finisce qui.

«Abbiamo scoperto anche», continua Falasca, «che la P110gamma è presente ad alte concentrazioni nei pazienti affetti da pancreatiti croniche».

«Questi malati», prosegue Falasca, «hanno un rischio maggiore di sviluppare il cancro del pancreas e ciò suggerisce che la proteina potrebbe entrare in gioco a uno stadio precoce della malattia».

«Se così fosse», aggiunge Falasca, «potrebbe essere usata per facilitare una diagnosi precoce del male o come segnale per monitorare la progressione della malattia e l'efficacia del trattamento».

Ce ancora tanta strada da percorrere per arrivare alla cura in una corsia d'ospedale.

«Nel frattempo, dobbiamo valutare questi risultati su un numero maggiore di casi», puntualizza il chirurgo Paolo Innocenti, «e, qualcosa già sta partendo, arrivare a sintetizzare nuovi farmaci mirati per la terapia».

La forza di questa ricerca rimane e sta nell'aver individuato una strada in più per, un domani, riuscire a combattere meglio il cancro al pancreas.

«E' come questa forma di tumore fosse una stazione di metropolitana», conclude con una metafora Federico Selvaggi, che segue la ricerca fin da quando lavorava ad Heidelberg.

«Ci sono tante porte di ingresso che vi conducono. Ne abbiamo individuata un'altra di cui occorre tener conto».

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