5 luglio

Oggi, ma nel 1983, a Dorgali, in provincia di Nuoro, esponenti del Movimento armato sardo, realtà indipendentista che riprendeva le istanze portate avanti dall’organizzazione Barbagia rossa, uccidevano, per ritorsione, Giovanni Bosco, titolare di una pompa di benzina e appuntato dei carabinieri in congedo, reo di aver testimoniato nell’iter giudiziario per il sequestro di persona a scopo d’estorsione di Pasqualba Rosas, studentessa di 17 anni figlia del gioielliere Antonio, avvenuto a Nuoro il 20 novembre 1978. Nella rivendicazione Bosco verrà additato come “uno che manda in galera innocenti”.
I malviventi erano tre ed erano armati di fucili da caccia e bombe a mano e sparavano quattro colpi in petto al malcapitato (nella foto, particolare, la notizia riportata sul quotidiano torinese “La Stampa”, del giorno dopo, 6 luglio 1983), che era originario di San Giorgio del Sannio, in provincia di Benevento, mentre si trovava in casa. Il 6 giugno precedente il Mas aveva freddato, a Bitti, Ciriaco Demelas, poi il 15 giugno, a Mamoiada, aveva giustiziato Claudio Balia, fratello di Alberto, considerato pentito della Super-anonima gallurese, e il 20 giugno, sempre di quel 1983, aveva fatto fuori Gonario Sale, reputato come delatore.
Verosimilmente gli ideologi del Mas riprendevano le teorie politiche propalate dall’editore Giangiacomo Feltrinelli “Osvaldo”, morto in modo controverso sotto un traliccio dell’alta tensione a Segrate il 14 marzo 1972. Ossia unire azioni volte all’autonomia della Sardegna da Roma e manifestazioni finalizzate allo sviluppo della lotta di classe comunista sull’isola. Quindi gli obiettivi principali erano gli esponenti delle forze dell’ordine, in quanto rappresentanti lo Stato, e possedimenti borghesi privati simbolo di speculazione edilizia e di sfruttamento della manodopera locale.
Verrà poi attribuita agli esponenti del Mas una serie di altre operazioni, ma di fatto non ci sarà alcun colpevole assicurato alla giustizia. Il 9 giugno 1988, a Nuoro, tra gli undici presunti rappresentanti della sigla terroristica rinviati a giudizio soltanto Claudio Cadinu, di Mamoiada, e Mauro Orunesu, di Bitti, verranno condannati, in primo grado, a 26 e a 7 anni di reclusione. Ma nel 1993, in appello, la sentenza verrà ribaltata ed entrambi saranno assolti.