Cantone boccia il presidente di Tua

L'Autorità Anticorruzione: Luciano D'Amico è incompatibile con l'incarico. Il rettore di Teramo: lavoro gratis per spirito di servizio

PESCARA. Quando si dice un inizio d'anno col botto. Il rettore dell'Università di Teramo, Luciano D'Amico ha avuto una brutta sorpresa di compleanno. Non ha fatto in tempo a spegnere le candeline che l'Anac di Raffaele Cantone, il 4 gennaio, gli ha notificato un atto che nulla lascia all'immaginazione: il suo incarico alla presidenza della Società unica abruzzese di trasporto pubblico (Tua Spa) è incompatibile con il suo ruolo in Ateneo. E ora rischia addirittura di perdere il posto all'Università dove è professore di Economia aziendale, sempre che il ministero non prenda posizione in suo favore. Ma l’interessato è tranquillo.

Cosa è infatti accaduto? Che qualcuno ha presentato un esposto lo scorso febbraio all’Autorità anticorruzione per denunciare il doppio incarico ricoperto da D'Amico che è professore a tempo pieno e anche presidente dell'azienda dei trasporti regionale fin dal 2014 quando ancora si chiamava Arpa Spa.

«Sono sereno: ho rinunciato ad ogni compenso previsto per la presidenza della Tua. E non ho voluto neppure i rimborsi spese. Quindi è incontrovertibile che io abbia accettato questo incarico, che mi è stato offerto dal presidente della Regione Abruzzo, Luciano D'Alfonso, per mero spirito di servizio: serviva risanare l'azienda pubblica, che era in estrema difficoltà, e ho dato la mia disponibilità. Del resto come è noto insegno economia aziendale, mica chimica. In quel caso potrei anche capire...», dice al Centro il rettore di Teramo D'Amico.

Che ora è in attesa che sul caso si pronunci il Miur. Perché adesso il responsabile anticorruzione dell'ateneo abruzzese dovrà mettersi in contatto con Roma. Aggiunge D’Amico: «Spero bene che il ministero vorrà ascoltarmi. Dirò esattamente le stesse cose che avrei detto a Cantone se avessi saputo che i suoi uffici stavano lavorando da mesi al mio caso: e cioè che l'azienda in questione è una società in house e in quanto tale è una diramazione dell'amministrazione regionale. E che se pure ha una veste giuridica di natura privatistica non ha scopo di lucro. E poi aggiungerò anche che non lo faccio per soldo visto che ho rinunciato ai 60 mila euro più rimborsi che mi sarebbero spettati in quanto presidente dell'azienda».

Tanto basta, a detta del rettore dell’università di Teramo,per smontare le accuse contenute nella denuncia su cui si è pronunciata l'Anac.

Che richiamando la normativa che disciplina il regime delle incompatibilità degli incarichi (e cioè una legge del 1980 e la più recente legge Giannini) ha stabilito che l'incarico era inconferibile fin dal principio per divieto assoluto dei professori all'esercizio del commercio, dell'industria e di alcun'altra professione, sempre che non si mettano in aspettativa.

Accettare la carica di presidente di società a partecipazione pubblica è infatti contrario e pregiudizievole al perseguimento dell'interesse pubblico espresso dalla programmazione didattica e dall'attività di docenza universitaria. La sanzione prevista per i casi di violazione delle previsioni è la diffida che di per sé è un fatto già stigmatizzante per un cattedratico.

Ma non è tutto. Perché nel caso in cui venisse ignorata, dopo la diffida è prevista addirittura la decadenza dal ruolo di professore. E sarebbe davvero una situazione paradossale. Perché ad autorizzare D'Amico è stato lo stesso Ateneo. Circostanza irrilevante per gli uffici di Cantone: in presenza di un divieto assoluto, infatti quella autorizzazione non vale.

Ma c'è di più perché siccome sarebbero state violati i doveri di servizio previsto a carico del docente sarebbe pure configurabile un inadempimento nei confronti dell'Amministrazione, con conseguente danno rapportabile alla retribuzione percepita.

Sul caso D'Amico insomma non dovrà pronunciarsi solo il ministero dell'Università (guidato da Valeria Fedeli) e il collegio di disciplina dell'Ateneo per gli eventuali risvolti disciplinari.

Ma pure la Corte dei Conti. «Sono fiducioso: i magistrati contabili hanno già archiviato il caso appena qualche mese fa. E poi quanto al danno che avrei arrecato non vorrei insistere: ho già detto che ho rinunciato a qualunque forma di retribuzione. E che la società è pubblica e non ha scopi di lucro: sono convinto dunque che il ministero non mi manderà alcuna diffida. E anche che il parere dell'Anac sarebbe stato diverso se le questioni fossero state prospettate in un maniera corretta. Quel che mi colpisce, semmai», conclude D’Amico, «è l'animosità nei miei confronti di chi si è fatto carico di questa segnalazione a Cantone. Non temo questi accertamenti che spero si possano compiere al più presto: massima trasparenza, non ho proprio nulla da nascondere».

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