Coppi, l’ultima vittoria a Lanciano
A settembre 1959 in coppia con Terruzzi protagonista sulla pista di Villa delle Rose.
Era una corsa a inviti di fine stagione e il Campionissimo la onorò insieme a Nando Terruzzi, il re delle Sei Giorni. A Lanciano, nel settembre 1959, Fausto Coppi collezionò l’ultima vittoria di una carriera eccezionale spezzata il 2 gennaio 1960 dalla malaria, diagnosticata con colpevole ritardo. Coppi e l’Abruzzo, un rapporto ricorrente, ma mai illuminato dai lampi della sua classe. Tranne quella volta al velodromo Villa delle Rose.
Aveva quarant’anni, ma non aveva perso la voglia di pedalare, anche se l’ultima grande vittoria risaliva al 1957 quando si impose con il giovane Ercole Baldini al Trofeo Baracchi, una corsa contro il tempo che si correva in coppia.
L’attendeva una stagione sotto le insegne di un nuovo sponsor, dal biancoceleste della Bianchi all’arancione e bianco della San Pellegrino. E in ammiraglia il rivale di sempre, Gino Bartali. Un legame molto stretto, a dispetto delle diatribe alimentate dai media, un rapporto fatto di umanità, sportività, gentilezza e generosità.
Bartali l’andò a trovare nel campo di concentramento inglese di Caserta, dove era ancora segregato nel febbraio 1945. Una prigionia iniziata nel 1943 in Algeria ma che ormai era agli sgoccioli. Andò lì per convincerlo a tornare in bicicletta.
Bartali rimase molto colpito dalla debilitazione che le privazioni della segregazione aveva lasciato sul fisico di quel ragazzone ormai 26enne, il gregario della Legano che gli aveva strappato, ad appena 21 anni, nel 1940 la vittoria al Giro d’Italia.
Ci piace immaginare che, anche per l’intervento di Bartali, Fausto Coppi partecipò alla prima edizione del Trofeo Matteotti. Bartali si spese molto per far partire, tra le macerie di una guerra che divideva ancora in due l’Italia, la corsa voluta da Fulvio Perna. Andò a Milano alla Legnano a cercare copertoni. Coppi, invece, grazie a uno speciale permesso, potè la sciare il campo di prigionia e grazie a un costruttore romano di bici, Nulli, ebbe in prestito il mezzo per gareggiare.
Gli andò doppiamente male. Cadde nei paraggi di Chieti (il percorso era molto diverso dall’attuale) e quando uscì dal pronto soccorso non ritrovò la bici. Già a luglio riprese il feeling con la vittoria. Un lungo palmares di successi, tra i quali cinque Giri d’Italia (e 22 vittorie di tappa), due Tour de France (e nove tappe vinte), il mondiale su strada a Lugano nel 1953, tre Milano-Sanremo, una Parigi-Roubaix, cinque Giri di Lombardia, quattro campionati italiani.
Tornò al Matteotti a metà degli anni Cinquanta ma ancora con poca fortuna. E poi, il successivo passaggio in Abruzzo nel 1959. Non era più l’Airone, come lo aveva etichettato Orio Vergani, se non nella fantasia dei suoi tifosi. Non era più il Coppi che «veniva avanti in un modo incredibile», come scriveva Anna Maria Ortese nel 1955, «senza sforzo con una leggerezza e una violenza che non gli costavano nulla».
Restava l’idolo delle folle, nonostante la vicenda scandalosa (per l’epoca) del legame con Giulia Occhini, la Dama Bianca. Era l’Italia in cui il futuro presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro rimbrottava una signora con le spalle nude durante la cerimonia di assegnazione di un premio letterario in piena estate.
Anche in quele settembre 1959 la Dama Bianca era a Lanciano, presenza discreta ma ingombrante. Lo stesso Coppi - ricorda Ennio Stella in quell’occasiuone direttore di corsa - lo pregò di far accomodare la Occhini in tribuna. Temeva i fischi di quei tifosi che davano la colpa alla donna per la scarsa brillantezza sui pedali del Campionissimo. Purtroppo fu riconosciuta e qualche spettatore non rinunciò a far sentire il proprio dissenso. Allora Coppi avvicinò di nuovo Stella e lo pregò di accompagnare la donna all’albergo “La palomba d’oro”, che si trovava in corso Trento e Trieste.
La giornata finì con una vittoria, in coppia con il milanese Terruzzi. Non fu la più prestigiosa ma scaldò i cuori degli abruzzesi, abituati ad applaudire tanti campioni in quegli appuntamenti nella pista in terra battuta che negli anni successivi ha accolto le corse di cavalli e il Cross del Sud.
Di Coppi ci resta una delle sue biciclette Bianchi con le ruote in legno che Renato Ricci, patron del Matteotti, ha esposto nel Museo dell’automobile e del ciclismo a Sambuceto, insieme alla mitica maglia bianco-celeste.

Aveva quarant’anni, ma non aveva perso la voglia di pedalare, anche se l’ultima grande vittoria risaliva al 1957 quando si impose con il giovane Ercole Baldini al Trofeo Baracchi, una corsa contro il tempo che si correva in coppia.
L’attendeva una stagione sotto le insegne di un nuovo sponsor, dal biancoceleste della Bianchi all’arancione e bianco della San Pellegrino. E in ammiraglia il rivale di sempre, Gino Bartali. Un legame molto stretto, a dispetto delle diatribe alimentate dai media, un rapporto fatto di umanità, sportività, gentilezza e generosità.
Bartali l’andò a trovare nel campo di concentramento inglese di Caserta, dove era ancora segregato nel febbraio 1945. Una prigionia iniziata nel 1943 in Algeria ma che ormai era agli sgoccioli. Andò lì per convincerlo a tornare in bicicletta.
Bartali rimase molto colpito dalla debilitazione che le privazioni della segregazione aveva lasciato sul fisico di quel ragazzone ormai 26enne, il gregario della Legano che gli aveva strappato, ad appena 21 anni, nel 1940 la vittoria al Giro d’Italia.
Ci piace immaginare che, anche per l’intervento di Bartali, Fausto Coppi partecipò alla prima edizione del Trofeo Matteotti. Bartali si spese molto per far partire, tra le macerie di una guerra che divideva ancora in due l’Italia, la corsa voluta da Fulvio Perna. Andò a Milano alla Legnano a cercare copertoni. Coppi, invece, grazie a uno speciale permesso, potè la sciare il campo di prigionia e grazie a un costruttore romano di bici, Nulli, ebbe in prestito il mezzo per gareggiare.
Gli andò doppiamente male. Cadde nei paraggi di Chieti (il percorso era molto diverso dall’attuale) e quando uscì dal pronto soccorso non ritrovò la bici. Già a luglio riprese il feeling con la vittoria. Un lungo palmares di successi, tra i quali cinque Giri d’Italia (e 22 vittorie di tappa), due Tour de France (e nove tappe vinte), il mondiale su strada a Lugano nel 1953, tre Milano-Sanremo, una Parigi-Roubaix, cinque Giri di Lombardia, quattro campionati italiani.
Tornò al Matteotti a metà degli anni Cinquanta ma ancora con poca fortuna. E poi, il successivo passaggio in Abruzzo nel 1959. Non era più l’Airone, come lo aveva etichettato Orio Vergani, se non nella fantasia dei suoi tifosi. Non era più il Coppi che «veniva avanti in un modo incredibile», come scriveva Anna Maria Ortese nel 1955, «senza sforzo con una leggerezza e una violenza che non gli costavano nulla».
Restava l’idolo delle folle, nonostante la vicenda scandalosa (per l’epoca) del legame con Giulia Occhini, la Dama Bianca. Era l’Italia in cui il futuro presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro rimbrottava una signora con le spalle nude durante la cerimonia di assegnazione di un premio letterario in piena estate.
Anche in quele settembre 1959 la Dama Bianca era a Lanciano, presenza discreta ma ingombrante. Lo stesso Coppi - ricorda Ennio Stella in quell’occasiuone direttore di corsa - lo pregò di far accomodare la Occhini in tribuna. Temeva i fischi di quei tifosi che davano la colpa alla donna per la scarsa brillantezza sui pedali del Campionissimo. Purtroppo fu riconosciuta e qualche spettatore non rinunciò a far sentire il proprio dissenso. Allora Coppi avvicinò di nuovo Stella e lo pregò di accompagnare la donna all’albergo “La palomba d’oro”, che si trovava in corso Trento e Trieste.
La giornata finì con una vittoria, in coppia con il milanese Terruzzi. Non fu la più prestigiosa ma scaldò i cuori degli abruzzesi, abituati ad applaudire tanti campioni in quegli appuntamenti nella pista in terra battuta che negli anni successivi ha accolto le corse di cavalli e il Cross del Sud.
Di Coppi ci resta una delle sue biciclette Bianchi con le ruote in legno che Renato Ricci, patron del Matteotti, ha esposto nel Museo dell’automobile e del ciclismo a Sambuceto, insieme alla mitica maglia bianco-celeste.