La storia

Cortellini, da Alba a Londra con l’Abruzzo nel piatto

È capo chef all’ambasciata italiana, tra i suoi ospiti Napolitano e Tony Blair. Formato nelle migliori “brigate” ha un colpo segreto: il timballo alla teramana

PESCARA. La cucina di sua madre gli ha dato da sempre un «feeling di comfort», come dice, che negli anni dell'adolescenza lo ha incoraggiato a cucinare per gli altri. E oggi Danilo Cortellini ricorda la cucina di casa ad Alba Adriatica da quella dell'Ambasciata d'Italia a Londra dove, a soli 30 anni, è già head chef. Anche se i suoi genitori, consci dei sacrifici che impone questo tipo di lavoro, sconsigliarono così tanto Danilo da farlo iscrivere ad un’altra scuola. Tutto cambiò un giorno, come ricorda, davanti ad uno spot pubblicitario in cui uno chef promuoveva dei prodotti.

«Rimasi affascinato da quella giacca bianca» racconta «così cambiai scuola per iscrivermi all'Alberghiero di San Benedetto del Tronto».

Cosa è successo dopo?

«Gli anni della scuola sono passati in fretta con diverse esperienze estive nel litorale abruzzese e in giro per l'Italia. Ogni chef con cui ho lavorato mi ha trasmesso qualcosa, così come i miei colleghi, ognuno di loro ha contribuito all'accrescimento della mia cultura professionale e umana, perché non basta saper cucinare per farsi strada».

Cosa conta allora?

«Capire che non si finisce mai di crescere ed imparare, essere responsabili, ben preparati, determinati, scaltri e molto umili, soprattutto in una città competitiva come Londra dove vivo da 5 anni».

Lei ha avuto esperienze in brigate importanti.

«Prima tappa al ristorante di Giovanni Rana a Verona, in vetrina in piazza Brà, davanti a folle di turisti asiatici che si fermavano per vederci fare la pasta fresca. Un'esperienza molto significativa l'ho vissuta al San Domenico di Imola, per due anni, con lo chef Valentino Marcattilii, di origini abruzzesi, un uomo vulcanico. In brigata con lui e suo nipote Massimiliano Mascia ho avuto modo di capire cosa vuol dire entrare in una grande cucina. Poi c'è stato un breve periodo al Ristorante Perbellini di Isola Rizza, dove ho avuto modo di osservare la grande arte pasticciera. Ma la più grande brigata in cui sono stato è sicuramente quella di Alain Ducasse al Dorchester Hotel di Londra, un “gran” ristorante francese con 3 stelle Michelin, con circa 30 persone tra cuochi pasticceri e panettieri. Pesavamo gli gnocchi uno per uno e se lo chef non era felice di una preparazione buttava tutto per terra. Lo vidi tirare un panino ad un cuoco una volta e mi ha fatto bene sicuramente!».

Ecco allora lo sbarco in Inghilterra.

«Nel 2010 mi sono trasferito a Londra, come sous chef al ristorante Dolada in Mayfair. Riccardo De Prà mi ha dato subito molta fiducia. Poco prima di arrivare in Ambasciata, invece, ho lavorato per il ristorante stellato Zafferano a Knightsbridge come chef alle paste, non può immaginare la quantità di “spadellamenti” che facevamo, porto ancora con me delle infiammazioni ai gomiti!».

Oggi i suoi profili social la presentano come “Head Chef @ the Italian Embassy in London”.

«Già, da quando sono in Ambasciata tutto è cambiato, un lavoro totalmente differente come chef privato, tutta pianificazione. Cucino per l'ambasciatore Terracciano e per la sua famiglia, mi prendo cura di tutti gli eventi: cene sedute, buffet, ricevimenti, prime colazioni e congressi».

Va da sé che ha cucinato per ospiti importanti.

«Ricordo sempre il Presidente Napolitano, una persona molto gentile, nei pochi giorni che ha passato in Ambasciata, è stato l'unico a non lasciar mai nulla nel piatto! Ho cucinato poi per il premier Renzi, per Letta, Monti, Emma Bonino e altri ministri, per membri della famiglia reale e del governo inglesi. Abbiamo avuto ospite Tony Blair, una persona molto cordiale. Ricordo ancora i suo complimenti per il rombo agli asparagi, il suo unico rammarico fu la quaresima che non gli permetteva di accompagnare il piatto con del vino».

Che taglio ha scelto di dare alla sua cucina a Londra, considerando la tradizione gastronomica abruzzese?

«Amo la cucina teramana e abruzzese in generale, è la cucina che più mi rassicura e di tanto in tanto non dimentico di inserire qualche elemento della mia terra nei miei menù. Spesso preparo il timballo alla teramana da servire nei pranzi in famiglia la domenica. Sono nato e cresciuto con questa cucina, non sempre è protagonista nei miei piatti ma è sempre presente nel mio cuore».

E in cantina c'è un po' di Abruzzo?

«I nostri vini non hanno nulla da invidiare a quelli di regioni con etichette più blasonate, adoro il Montepulciano e più recentemente ho rivalutato anche il Pecorino. Non è raro che inserisca cantine abruzzesi nei miei menù».

Che idea ha della ristorazione nella nostra regione?

«Abbiamo alcuni ristoranti che sono delle sicurezze nella cucina tradizionale, abbiamo poche eccellenze di alta cucina famose in Italia e non solo, abbiamo piccole realtà che con grande professionalità si stanno affermando, ma abbiamo una miriade di attività che non sanno quale strada percorrere, non hanno un'identità e nella mediocrità si limitano a fare quello che nella mischia sembra giusto fare. Non avere nulla di riconoscibile fa male a qualsiasi tipo di ristorante».

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