Ecco la città dei nuovi poveri

Centinaia di famiglie in difficoltà con lo spettro di mutui e bollette

L’AQUILA. C’è un terremoto che nessuno racconta. E’ un terremoto ancora nascosto sotto le macerie dei crolli, disperso nel caos di una città senza più punti di riferimento, affogato nell’incertezza di una vita precaria. E’ il terremoto dei poveri. Per rendersene conto non bisogna andare all’Aquilone o alle mille occasioni in cui si inaugura, si presentano libri e mostre, si ascoltano per ore le chiacchiere dei politici che assicurano, garantiscono, promettono.

Bisogna andare nei luoghi dove la gente non si mette in mostra. Dove chiedere un pasto caldo diventa una vergogna perché è difficile accettare l’idea di aver perso tutto, persino la possibilità di entrare in un negozio a comprare un pezzo di pane o un pacco di pasta. Per capire, o cercare di capire, bisogna affacciarsi nei luoghi dove la solidarietà non è uno slogan, dove per i poveri di questa città martoriata c’è sempre qualcosa da mangiare o un vestito da indossare. La mensa dei poveri e la Caritas: sono questi oggi all’Aquila i posti dove nessuno ti dice di no, che non si infastidisce anche di fronte a uno scatto di rabbia, a un urlo disperato rivolto a un futuro senza certezze. A questo punto qualcuno dirà: “Ecco la solita storia strappalacrime, ma che vogliono questi poveri, che vadano a lavorare”.

Ma è proprio qui che il terremoto sta facendo la differenza. Oggi all’Aquila i poveri non sono solo quelli che chiedono l’elemosina. Ma sono soprattutto coloro che prima del sei aprile 2009 vivevano in maniera dignitosa e che oggi non hanno nemmeno da mangiare. E’ il caso di una coppia di commercianti aquilani: locale in centro storico distrutto, lontani ancora dalla pensione, per mesi dispersi in un albergo della costa, poi il ritorno all’Aquila in uno degli alloggi del progetto Case e la traumatica scoperta di non avere più nulla. Un giorno si sono presentati alla mensa dei poveri: con discrezione hanno chiesto se potevano avere un aiuto. Si sono vergognati di sedere a tavola con gli altri diseredati e hanno preso un pacco-viveri, se ne sono tornati nella casa provvisoria e hanno consumato il loro triste pasto. E così anche nei giorni a seguire.

Oppure c’è il caso di un padre separato, spinto a mendicare un piatto di pasta perché con il suo reddito da artigiano che, dopo il sisma, si è fatto più magro, riesce a malapena a pagare la cifra stabilita dal giudice per sostenere l’ex moglie e i figli. Per andare avanti e pagarsi almeno la benzina alla macchina deve risparmiare su tutto, persino sul pranzo quotidiano.

Ci sono situazioni che sembrano tratte più da una fiction che dalla realtà. Un rappresentante di commercio, una settimana dopo il terremoto è stato licenziato dalla sua ditta che addirittura voleva addebitargli le fatture del materiale fornito ai clienti, materiale finito sotto le macerie dei negozi del centro storico. Quando chiede aiuto confessa amaramente: «Non ho mai chiesto a mia moglie di lavorare, perché bastava quello che guadagnavo io, ora senza lavoro mi vergogno persino di guardare i miei figli».