Gatti: "Riforma della scuola pronta solo fra tre anni"

L'assessore spiega la riforma: formazione e risparmio i nostri obiettivi
L'AQUILA. Una riforma scolastica regionale che unisca qualità dell'offerta formativa, diritto all'educazione ed esigenza di risparmiare. E' l'obiettivo della riforma della scuola - dall'infanzia alla primaria, fino alla secondaria di primo e secondo grado - alla quale sta lavorando l'assessore regionale all'Istruzione, Paolo Gatti, insieme alle Province e a una serie di soggetti istituzionali.
Ma far combaciare la normativa nazionale con le esigenze territoriali del sistema scolastico non è facile. L'ultimo consiglio regionale ha approvato a maggioranza il documento di «Indirizzi per la programmazione della rete scolastica regionale».
Entro fine mese, le Province, che hanno conosciuto e condiviso il documento dal mese di settembre, dovranno elaborare e rimettere i Piani provinciali al tavolo tecnico regionale, che ne valuterà la compatibilità con il quadro normativo di riferimento, prima del definitivo via libera da parte della giunta regionale. «Un documento atteso da tredici anni», ricorda Gatti.
Assessore Gatti, che cosa prevede il documento approvato dal consiglio regionale?
«Quello che abbiamo approvato è un insieme di linee guida che le Province dovranno seguire per mettere a punto i loro Piani scolastici provinciali sul dimensionamento e l'offerta formativa delle scuole. Questi piani dovranno essere presentati entro fine mese alla Regione, che dovrà valutarne la compatibilità con il quadro normativo vigente».
Cosa devono fare le Province?
«Gli assessori competenti hanno avviato già a settembre un lavoro di confronto con i sindaci, i presidi, associazioni e istituzioni locali per capire quali sono le esigenze del territorio. Alla fine dovranno dire alla Regione come intendono rinnovare l'offerta formativa, quali indirizzi scolastici servono, cercando di evitare ad esempio doppioni tra Comuni vicini e di lasciare invece scoperte alcune fette di territorio. Ci sono ad esempio rivalità tra Comuni per ottenere lo stesso indirizzo d'insegnamento, per esempio quello turistico lungo la costa, o l'alberghiero altrove. E questo deve essere evitato nell'interesse degli studenti».
E per quanto riguarda il dimensionamento?
«Nel Piano scolastico le Province dovranno anche spiegare come intendono aggregare le scuole, dove andranno le presidenze, con quanti numeri di alunni dovranno raggiungere l'autonomia scolastica, e così via».
E' stato un processo lungo finora?
«No, anzi breve per necessità. Ad agosto abbiamo costituito un tavolo tecnico con l'Ufficio scolastico regionale, i sindacati della scuola, i presidi, l'Anci, l'Associazioone nazionale dei comuni d'Italia, e altre associazioni. Poi abbiamo messo a punto il documento condiviso che è stato votato dal consiglio. Il governo che è appena decaduto ci ha imposto dicembre come termine massimo per presentare i Piani provinciali e concludere la riforma. Ma è un periodo troppo breve per una regione che ha sulle spalle il peso del terremoto. Abbiamo chiesto delle deroghe per la zona del cratere con un atto integrativo. Ad esempio la normativa nazionale stabiliva a mille il numero degli studenti da raggiugere per ogni istituto comprensivo. La Regione ha propoto che questa cifra venisse considerata come media regionale e non per ogni istituto. Ci servono inoltre tre anni, e non tre mesi, per accogliere le nuove disposizioni nazionali».
Ma far combaciare la normativa nazionale con le esigenze territoriali del sistema scolastico non è facile. L'ultimo consiglio regionale ha approvato a maggioranza il documento di «Indirizzi per la programmazione della rete scolastica regionale».
Entro fine mese, le Province, che hanno conosciuto e condiviso il documento dal mese di settembre, dovranno elaborare e rimettere i Piani provinciali al tavolo tecnico regionale, che ne valuterà la compatibilità con il quadro normativo di riferimento, prima del definitivo via libera da parte della giunta regionale. «Un documento atteso da tredici anni», ricorda Gatti.
Assessore Gatti, che cosa prevede il documento approvato dal consiglio regionale?
«Quello che abbiamo approvato è un insieme di linee guida che le Province dovranno seguire per mettere a punto i loro Piani scolastici provinciali sul dimensionamento e l'offerta formativa delle scuole. Questi piani dovranno essere presentati entro fine mese alla Regione, che dovrà valutarne la compatibilità con il quadro normativo vigente».
Cosa devono fare le Province?
«Gli assessori competenti hanno avviato già a settembre un lavoro di confronto con i sindaci, i presidi, associazioni e istituzioni locali per capire quali sono le esigenze del territorio. Alla fine dovranno dire alla Regione come intendono rinnovare l'offerta formativa, quali indirizzi scolastici servono, cercando di evitare ad esempio doppioni tra Comuni vicini e di lasciare invece scoperte alcune fette di territorio. Ci sono ad esempio rivalità tra Comuni per ottenere lo stesso indirizzo d'insegnamento, per esempio quello turistico lungo la costa, o l'alberghiero altrove. E questo deve essere evitato nell'interesse degli studenti».
E per quanto riguarda il dimensionamento?
«Nel Piano scolastico le Province dovranno anche spiegare come intendono aggregare le scuole, dove andranno le presidenze, con quanti numeri di alunni dovranno raggiungere l'autonomia scolastica, e così via».
E' stato un processo lungo finora?
«No, anzi breve per necessità. Ad agosto abbiamo costituito un tavolo tecnico con l'Ufficio scolastico regionale, i sindacati della scuola, i presidi, l'Anci, l'Associazioone nazionale dei comuni d'Italia, e altre associazioni. Poi abbiamo messo a punto il documento condiviso che è stato votato dal consiglio. Il governo che è appena decaduto ci ha imposto dicembre come termine massimo per presentare i Piani provinciali e concludere la riforma. Ma è un periodo troppo breve per una regione che ha sulle spalle il peso del terremoto. Abbiamo chiesto delle deroghe per la zona del cratere con un atto integrativo. Ad esempio la normativa nazionale stabiliva a mille il numero degli studenti da raggiugere per ogni istituto comprensivo. La Regione ha propoto che questa cifra venisse considerata come media regionale e non per ogni istituto. Ci servono inoltre tre anni, e non tre mesi, per accogliere le nuove disposizioni nazionali».
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