«Giudici indifferenti nella terra di nessuno»

L’avvocato dello Stato Gerardis contesta la sentenza di Chieti in 121 pagine

BUSSI. Ottomila camion pieni di rifiuti tossici, tutti in fila da Pescara fino all’Aquila e tutti con la stessa destinazione: Bussi. Manager «volenterosi», attenti alla carriera ma «un po’ sbadati» verso la cura dell’ambiente proprio a ridosso dei fiumi Tirino e Pescara. Giudici che fanno il «gioco delle tre carte», che ragionano secondo il proverbio «occhio non vede cuore non duole» e che «si assumono la responsabilità» di azzerare l’allarme inquinamento dell’Istituto superiore di sanità. E poi ecco «la mela avvelenata», incrocio tra fantasia e una realtà segnata dai veleni finiti sottoterra. Ha parlato per quasi 4 ore, ieri, l’avvocato dello Stato Cristina Gerardis. E, nel processo in Corte d’Assise d’Appello in corso all’Aquila sulla mega discarica di Bussi sul Tirino, ha lanciato un atto d’accusa senza precedenti: i giudici di Chieti indifferenti alla salute. E i veleni sono ancora pericolosi.

Gerardis, attuale direttore generale della Regione, ha parlato per immagini per smontare la sentenza della Corte d’Assise di Chieti che, il 19 dicembre 2014, aveva assolto i 19 imputati dall’accusa di avvelenamento delle falde acquifere mentre per il reato di disastro ambientale, derubricato in colposo, era scattata la prescrizione. «L’Abruzzo è la prima vittima e in generale l’Italia sembra davvero la terra di nessuno», così ha detto la Gerardis, autrice di una memoria di 121 pagine per contestare una sentenza «unica» nel panorama giudiziario, «quasi una beffa».

Per l’avvocato dello Stato, la sentenza di primo grado è «una rappresentazione smentita da tutto e tutti. Quasi che, solo nel mondo cartaceo della decisione dei giudici di Chieti, il sito di Bussi sia il luogo delle “chiare fresche e dolci acque”». E la Gerardis ha citato gli ultimi dati dell’Arta: «Tuttora l’Arta dettaglia livelli di inquinamento allarmanti. Contrariamente a quanto si desume dalla ricostruzione dei giudici teatini, il “bubbone” di contaminanti della discarica Tre Monti non sta fermo ma aumenta». Gerardis contesta, soprattutto, la parte della sentenza in cui si esclude l’avvelenamento della falda: «Poiché l’acqua sotterranea non si vede, ad avviso della Corte di Chieti, è davvero troppo punire chi la inquina massivamente». Come dire che «occhio non vede cuore non duole». Ma, ha detto Gerardis, a Bussi l’inquinamento esiste. E la prova sta anche in una «mela avvelenata» esaminata dall’Arta con la tecnica dell’analisi della corteccia dell’albero (fitoscreening): «Sia un melo che un pioppo che si trovano a valle della discarica, all’esterno di essa, in terreni privati, sono entrambi risultati contaminati in modo rilevante da composti organici clorurati (diclorometano, triclorometano, tetracloroetilene, gli stessi che ritroviamo nella discarica Tre Monti)». Un’immagine evocativa che ha scatenato reazioni di stizza dai banchi delle difese.

L’altra immagine forte è quella dei camion al lavoro di notte: «Sarebbero necessari 7.725 camion da 20 metri cubi l’uno per riempire il secchiello della discarica Tre Monti. È falso che la discarica abbia avuto l’utilizzo ristretto descritto nella rasserenante sentenza di primo grado».

E, in un passaggio, la Gerardis punta agli imputati: «La scelta era: occultare oppure adeguarsi alla legge, con tutte le conseguenze del caso, in termini economici per l’azienda. Meglio occultare e, con specifico riguardo alla megadiscarica, fare viaggiare la titolarità di quell’area da una società all’altra, ma sempre sotto il cappello Montedison (oggi Edison) perché ad alienarla a terzi sarebbe stato scoperto tutto, in breve».

Gerardis contesta anche la lettura degli studi scientifici degli esperti fatti dai giudici di Chieti: «Hanno utilizzato le consulenze della procura e dell’Avvocatura, forzandole e ritagliandole ad arte per sostenere una certa tesi assolutoria». E, infine, un’altra spallata: «I giudici di primo grado si sono assunti la rilevante responsabilità di ignorare e azzerare le valutazioni dell’Istituto superiore di sanità che dunque, a fronte della rasserenante ricostruzione fornita dalla Corte, è risultato avere creato un ingiustificato allarme tra i cittadini abruzzesi».

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