Gli sms di Amicone: Silvio, dammi un posto

Il direttore dell'Arta: a Lavitola ho scritto diversi messaggi, è così che fanno tutti
PESCARA. «Certo che a Lavitola ho mandato dei messaggi, mi sembrava un amico di Berlusconi e poi che cosa vuole? Così fanno tutti». Sono le 12 di ieri e Mario Amicone forse non si è reso ancora ben conto della bufera che lo sta per travolgere.
Di lì a poco sarà tempestato dalle telefonate di giornali e tv nazionali per gli sms che ha inviato all'ex direttore dell'Avanti Valter Lavitola - coinvolto insieme a Gianpaolo Tarantini nell'inchiesta sull'estorsione a Berlusconi, e attualmente latitante - chiedendogli di intercedere con il Cavaliere affinché gli desse un posto di livello nazionale.
L'intercettazione, pubblicata ieri dal Corriere della Sera, risale al giugno scorso e Amicone - ex Dc poi passato all'Udc e quindi confluito repentinamente nel Pdl alla vigilia delle elezioni regionali 2008 - era stato nominato qualche mese prima (marzo) dalla giunta Chiodi direttore generale dell'Agenzia regionale per l'Ambiente (Arta), nomina a cui seguirono aspre polemiche.
Personaggio sanguigno della vita politica regionale (è stato anche assessore ai Trasporti), Amicone non ha difficoltà a parlare al telefono - anche se ricorre spesso a uno stretto dialetto teatino (è di Miglianico) -, tanto che esordisce scambiandoci per qualcun altro (probabilmente un politico amico) con una risata e con un: «Che c'è? Sei invidioso?».
Colti di sorpresa, gli facciamo notare che siamo invece del Centro e che lo chiamiamo a proposito dei suoi sms a Lavitola e pubblicati dal Corriere della Sera». «Ah, e che devo dì?» è la sua risposta che ci lascia perplessi.
Direttore, è vero che lei ha inviato a Lavitola quei messaggini e che si è lamentato perché si aspettava un incarico importante dal partito, da Berlusconi?
«Certo che è vero, che cosa c'è da nascondere, non sono mica indagato».
Lei si lamenta con Lavitola e dice di essere deluso, che si sente preso in giro per le promesse ricevute e non mantenute e che Berlusconi saprebbe quale incarico affidargli.
«Non ricordo bene, più o meno è così. Io sono tirato in ballo per motivi politici».
Prego, che cosa vuole dire?
«Che non conosco né la vita privata di Lavitola né di Berlusconi e che io chiedo un incarico politico alla luce della mia carriera di politico, di ciò che ho fatto».
Aveva già ottenuto la direzione dell'Arta.
«Ho fatto dei messaggini, così come fanno tutti. Perché, nel settore in cui lei lavora non si fa così?»
Nella stampa? Non qui al Centro. Resta il fatto che lei chiede un posto quando un posto da direttore già lo ha. Ma a che posto ambiva?
«Un incarico politico di prestigio a livello nazionale, che ne so, ad esempio presidente di una banca».
Una banca?
«Sì, perché? Non è un incarico che viene deciso dalla politica anche quello di presidente della Banca d'Italia?»
Poteva accontentarsi di un istituto regionale...
«No, per carità. L'ho detto a Lavitola: lascia stare la politica regionale, se fai intervenire Roma, qui in Abruzzo tutti si ingelosiscono, succede un casino».
Invece ora... Ma davvero ha detto tutte queste cose a Lavitola? E quante volte ci parlava?
«Io Lavitola l'ho incontrato la prima volta in occasione della costituzione del Partito di Alleanza di centro con un gruppo uscito dall'Udc, il partito dove è poi confluito Pionati e al quale io non ho aderito».
Da allora ha cominciato a inviargli sms? Deve avergli fatto subito una buona impressione.
«La mia impressione non c'entra, era uno dello staff di Berlusconi, non so che ruolo avesse. Mi sembrava un suo amico, che non a caso aveva organizzato quell'incontro con Berlusconi».
Torniamo agli sms. Quanti ne ha inviati a Lavitola?
«Diversi, diversi, volevo vedere dove sarebbe arrivato».
Scusi, in che senso?
«Sì, insomma, ero già presidente dell'Arta e volevo vedere se Lavitola fosse stato veramente in grado di mettermi in contatto con Berlusconi e farmi avere un ruolo politico più ampio».
Questo lo ha già detto, non ha detto pittosto come è rimasto d'accordo con Lavitola. Lo ha più sentito?
«Macché».
Neanche una risposta, un incontro?
«E chi l'ha visto più».
Amicone, c'è già chi chiede le sue dimissioni da direttore Arta.
«Ah sì? E perché dovrei dimettermi?»
Giusto, lo ha detto lei: così fanno tutti».
«Esattamente».
Di lì a poco sarà tempestato dalle telefonate di giornali e tv nazionali per gli sms che ha inviato all'ex direttore dell'Avanti Valter Lavitola - coinvolto insieme a Gianpaolo Tarantini nell'inchiesta sull'estorsione a Berlusconi, e attualmente latitante - chiedendogli di intercedere con il Cavaliere affinché gli desse un posto di livello nazionale.
L'intercettazione, pubblicata ieri dal Corriere della Sera, risale al giugno scorso e Amicone - ex Dc poi passato all'Udc e quindi confluito repentinamente nel Pdl alla vigilia delle elezioni regionali 2008 - era stato nominato qualche mese prima (marzo) dalla giunta Chiodi direttore generale dell'Agenzia regionale per l'Ambiente (Arta), nomina a cui seguirono aspre polemiche.
Personaggio sanguigno della vita politica regionale (è stato anche assessore ai Trasporti), Amicone non ha difficoltà a parlare al telefono - anche se ricorre spesso a uno stretto dialetto teatino (è di Miglianico) -, tanto che esordisce scambiandoci per qualcun altro (probabilmente un politico amico) con una risata e con un: «Che c'è? Sei invidioso?».
Colti di sorpresa, gli facciamo notare che siamo invece del Centro e che lo chiamiamo a proposito dei suoi sms a Lavitola e pubblicati dal Corriere della Sera». «Ah, e che devo dì?» è la sua risposta che ci lascia perplessi.
Direttore, è vero che lei ha inviato a Lavitola quei messaggini e che si è lamentato perché si aspettava un incarico importante dal partito, da Berlusconi?
«Certo che è vero, che cosa c'è da nascondere, non sono mica indagato».
Lei si lamenta con Lavitola e dice di essere deluso, che si sente preso in giro per le promesse ricevute e non mantenute e che Berlusconi saprebbe quale incarico affidargli.
«Non ricordo bene, più o meno è così. Io sono tirato in ballo per motivi politici».
Prego, che cosa vuole dire?
«Che non conosco né la vita privata di Lavitola né di Berlusconi e che io chiedo un incarico politico alla luce della mia carriera di politico, di ciò che ho fatto».
Aveva già ottenuto la direzione dell'Arta.
«Ho fatto dei messaggini, così come fanno tutti. Perché, nel settore in cui lei lavora non si fa così?»
Nella stampa? Non qui al Centro. Resta il fatto che lei chiede un posto quando un posto da direttore già lo ha. Ma a che posto ambiva?
«Un incarico politico di prestigio a livello nazionale, che ne so, ad esempio presidente di una banca».
Una banca?
«Sì, perché? Non è un incarico che viene deciso dalla politica anche quello di presidente della Banca d'Italia?»
Poteva accontentarsi di un istituto regionale...
«No, per carità. L'ho detto a Lavitola: lascia stare la politica regionale, se fai intervenire Roma, qui in Abruzzo tutti si ingelosiscono, succede un casino».
Invece ora... Ma davvero ha detto tutte queste cose a Lavitola? E quante volte ci parlava?
«Io Lavitola l'ho incontrato la prima volta in occasione della costituzione del Partito di Alleanza di centro con un gruppo uscito dall'Udc, il partito dove è poi confluito Pionati e al quale io non ho aderito».
Da allora ha cominciato a inviargli sms? Deve avergli fatto subito una buona impressione.
«La mia impressione non c'entra, era uno dello staff di Berlusconi, non so che ruolo avesse. Mi sembrava un suo amico, che non a caso aveva organizzato quell'incontro con Berlusconi».
Torniamo agli sms. Quanti ne ha inviati a Lavitola?
«Diversi, diversi, volevo vedere dove sarebbe arrivato».
Scusi, in che senso?
«Sì, insomma, ero già presidente dell'Arta e volevo vedere se Lavitola fosse stato veramente in grado di mettermi in contatto con Berlusconi e farmi avere un ruolo politico più ampio».
Questo lo ha già detto, non ha detto pittosto come è rimasto d'accordo con Lavitola. Lo ha più sentito?
«Macché».
Neanche una risposta, un incontro?
«E chi l'ha visto più».
Amicone, c'è già chi chiede le sue dimissioni da direttore Arta.
«Ah sì? E perché dovrei dimettermi?»
Giusto, lo ha detto lei: così fanno tutti».
«Esattamente».
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