Il Canto degli italiani

9 Marzo 2011

Mameli, il poeta-guerriero che inventò l'inno nazionale

Fratelli d'Italia o il Canto degli italiani, meglio conosciuto come l'Inno di Mameli dal nome dell'autore dei versi, il giovane poeta e patriota genovese Goffredo Mameli che lo scrisse di getto il pomeriggio del 17 settembre 1847 mentre si trovava in casa del console francese a Genova, dove si discuteva anche di politica, per esprimere con passione le tensioni di quel particolare momento storico.

Ed esaltare nel contempo i valori della Patria. Non a caso, infatti, nel testo, mentre si richiamano episodi significativi della lotta per l'unificazione dell'Italia, si sottolinea più volte che gli italiani devono amarsi ed unirsi. Dopo un paio di mesi, precisamente il 24 novembre di quello stesso anno, il Mameli fa tenere il suo Canto degli italiani al compositore Michele Novara, anch'egli di Genova, il quale ne rimane così entusiasta che lo musica di getto nel corso della stessa notte. Ne risulta così un Inno che lo stesso Garibaldi non esita a definire trascinante e guerriero e che viene subito accettato dai giovani combattenti del Risorgimento come il loro inno nazionale.

Goffredo Mameli, nato a Genova il 5 settembre 1827 da nobile famiglia (suo padre era ammiraglio della marina militare sarda) aderisce ben presto agli ideali mazziniani che ipotizzavano un'Italia libera ed unita, non più suddivisa in tanti piccoli Stati, peraltro governati in modo dispotico da dinastie per la maggior parte straniere. Si mette ben presto in evidenza per il suo attivismo rivoluzionario partecipando attivamente, nel capoluogo ligure, nel 1846, alle celebrazioni del primo centenario del leggendario episodio del ragazzo Giovan Battista Perasso, detto Balilla; la popolazione venne incitata dal giovane a sollevarsi attraverso il lancio di un sasso contro le truppe austro-piemontesi che occupavano la città, a quel tempo alleata con i francesi e gli spagnoli. Il 10 dicembre 1746 Genova fu così liberata dalle truppe austriache.

Successivamente partecipa con entusiasmo alle battaglie di quegli anni, guidando a Milano una colonna di alcune centinaia di patrioti genovesi in appoggio alla rivolta popolare delle cinque giornate, nel marzo del '48. Nel 1849 è a Roma, dove è nata la Repubblica Romana, a fianco di Giuseppe Garibaldi il quale, pregato dal giovane di farlo procedere davanti dove più ferveva la pugna, lo nominò suo aiutante di campo. In tale veste partecipa al combattimento di Villa Pamphili, dove un centinaio di giovani, che Luigi Mercantini, l'autore, fra l'altro della «Spigolatrice di Sapri», definì gagliardi fanciulli, si battono valorosamente contro i francesi per la difesa di Roma.

Il 3 giugno il Mameli é al Vascello e, mentre a cavallo prendeva parte ad una carica alla baionetta, é ferito ad una gamba, che gli venne amputata. Morirà dopo poco più di un mese, il 6 luglio del 1849, per la cancrena, all'età di 22 anni, invocando l'Italia e recitando i versi del suo inno.

Anche da questi pochi cenni biografici, credo si possa affermare tranquillamente che il Mameli faceva parte di quella generazione che amava i sogni, disprezzava il successo e serviva la causa più con il sangue che con la vittoria, come la definì lo storico francese Jules Michelet. Ma oltre che eroe romantico, convinto e sincero assertore dell'Unità d'Italia, pronto a morire per il bene della Patria, oltre che di animo ardito e generoso, Goffredo Mameli verrà certamente ricordato anche per la sua vena poetica.

Nel 1850, infatti, esce, con prefazione di Giuseppe Mazzini, la prima edizione delle sue poesie, che sono fra l'altro molto apprezzate anche da Giosué Carducci.

Per quanto riguarda specificatamente l'inno nazionale non sono mancati, come è noto, nel corso degli anni, tentativi di sostituirlo con altri brani quali il coro del Nabucco di Giuseppe Verdi («Va, pensiero, sull'ali dorate») o dei Lombardi sempre del grande Verdi («Oh Signore dal tetto natìo»). Per la verità, può sembrare strano, ma il primo a prendere una iniziativa del genere è stato proprio Giuseppe Mazzini, accadde nel 1848, il quale richiese espressamente al Mameli un altro inno, che poi farà musicare a Giuseppe Verdi. Il risultato non fu però dei migliori dal momento che Mazzini si aspettava una spcie di «Marsigliese» italiana mentre la musica del grande maestro risultò sì abbastanza solenne, ma priva di marzialità e ritmo coinvolgente. Pertanto il nuovo inno, che inizia con le parole di «Suona la tromba», cadde presto nel dimenticatoio, anche perché nel frattempo si era diffuso ovunque l'inno di Mameli-Novaro, che diventò il Canto degli italiani che combattevano per l'indipendenza dallo straniero e per l'unità della patria.

In tempi più recenti le critiche più feroci sono venute dal partito della Lega Nord di Umberto Bossi che, proponendosi l'autonomia e l'indipendenza dell'Italia del nord, non ama i simboli dell'unità d'Italia: la bandiera tricolore e l'Inno nazionale. Ciò nonostante, mi sembra comunque di poter dire, in conclusione, che Fratelli d'Italia, molto apprezzato anche da Giosué Carducci per la sua capacità di coinvolgere emotivamente gli ascoltatori, è ormai condiviso dalla stragrande maggioranza degli italiani che, nelle parole e nella musica, vi riconoscono il simbolo dell'unita nazionale, al pari della bandiera tricolore, con la quale esso forma, anzi, un tutt'uno inscindibile. E non è neppure un caso che dopo la caduta del fascismo, le disastrose conseguenze della seconda guerra mondiale per il nostro Paese e l'avvento della Repubblica democratica parlamentare, esso sia divenuto ufficialmente l'Inno Nazionale Italiano.

© RIPRODUZIONE RISERVATA