Il terremoto e l’ipocrisia del Prefetto
Ho conosciuto bene l'ex prefetto Giovanna Maria Iurato. E' per questo che oggi l'amarezza è ancora più forte. Con lei ho avuto anche lunghi colloqui. Una sera d'inverno di un anno e mezzo fa venne a trovarmi nel mio map a Onna, ha cenato con me e mia moglie, ha condiviso il nostro semplice pasto. Ha domandato dei nostri figli, ha guardato le foto, ci ha chiesto di raccontare qualcosa di loro. Nel maggio dello scorso anno ha partecipato a Onna all’inaugurazione del frutteto della memoria con 40 piante dedicate a chi non rivedrà mai più il sole sul mio paesello. Sembrava sincera. Sembrava. E' per questo che oggi mi sento tradito, anche nei miei sentimenti. Di quel suo primo gesto all'Aquila (una corona alla Casa dello Studente) ne aveva parlato anche a me quando mi chiese di aiutarla a scrivere un libro sulla sua esperienza aquilana. Quelle lacrime dovevano essere parte del primo capitolo. Oggi sono lacrime di rabbia. La rabbia di chi a quel coinvolgimento emotivo ci aveva creduto. Non ho mai pensato che un dolore così forte come la perdita dei figli possa essere condiviso. Il dolore è solitudine e non puoi cederlo a nessuno. In questi anni ho incontrato tante persone: basta uno sguardo per capire se chi ti sta davanti ti vuole solo compatire o nutre un sincero sentimento di vicinanza e solidarietà.
Approfittando del terremoto dell'Aquila tanta gente è scesa da Roma per far soldi e carriera. Qualcuno gironzola ancora. Finte cerimonie, finte parate, finte celebrazioni, finti convegni. Ora scopriamo anche un prefetto con la maschera. Quella più brutta. Quella dell'ipocrisia. Il risultato: all'Aquila a 4 anni dal sisma non c'è un posto dove piangere quei 309 che il sei aprile non ce l'hanno fatta. Il prefetto Iurato mi volle conoscere il giorno della Perdonanza del 2010. Chiese alla collega Marina Marinucci (che nel maggio aveva raccontato quelle che oggi scopriamo essere state false lacrime) di cercarmi e portarmi da lei. Davanti alla facciata della basilica si mostrò contrita e addolorata. Quasi un’attrice. Mi cercò a novembre. Voleva che la mettessi in contatto con la Fondazione sei aprile. Intendeva organizzare una cerimonia religiosa nella basilica di Celestino V, a ridosso del Natale, in memoria delle vittime. In quella occasione regalò a tutti i parenti un angioletto in ceramica. Fino a ieri sera ce l'avevo a fianco al calendario, sotto la foto dei miei ragazzi. Adesso è nella spazzatura.
Da allora di incontri ce ne sono stati diversi. Avrebbe voluto lasciare un segno nella storia della città terremotata. Il segno lo ha lasciato, ma è uno scarabocchio. Quando arrivò la notizia della sua nomina all'Aquila le perplessità non mancarono. Su di lei pesava già l'inchiesta napoletana e il suo nome compariva nella lista Anemone. Eppure la città la accolse bene. C'era bisogno, allora come ora, di avere un riferimento istituzionale forte. Per lei, a parte qualche esperienza come commissario nei Comuni, era la prima nomina a prefetto e per di più di un capoluogo di Regione ferito e piegato dal sisma. Fu il ministro Maroni a nominarla e il ministro Cancellieri l'ha rimossa solo a novembre del 2012. Confesso che un addetto ai lavori, quando seppe che il prefetto voleva incontrarmi in qualità di povero disgraziato padre di due ragazzi morti sotto le macerie mi mise in guardia: non ti fidare. Quel consiglio lo presi sotto gamba. Oggi la realtà è sotto gli occhi di tutti. Signora ex prefetto, per quello che è accaduto non ho nutrito e non nutro rancore nei confronti di nessuno. So che in tanti, come Lei, hanno finto e mi hanno preso in giro. Non me ne dolgo più di tanto. Ognuno ne risponderà alla sua coscienza. Anche Lei. Non rimpiango e non rinnego nulla. Però le do un amichevole consiglio: giri alla larga dall’Aquila. E anche da me.
Giustino Parisse
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