L'Abruzzo 40 anni fa, i ruggenti '70

Remo Gaspari: ecco la regione che non c'è più, ricca e senza disoccupati

Per dire, il personaggio. Avvicinato da Piero Chiambretti per la sua trasmissione di Raitre «Il portalettere» - correva l'anno 1992 - alle domande insistenti su una crisi in seno alla Dc, rispose: «Senta, vada a rompere i c... ad un altro. Non so se mi sono spiegato». Si era spiegato forte e chiaro Remo Gaspari, 89 anni il prossimo 10 luglio e che ogni mattina alle 8,30 ha già letto i quotidiani e si prepara ad affrontare la giornata con un'ora e un quarto di ginnastica. Metodico, preciso. L'onorevole è un uomo fortunato, ha sempre amato il mestiere che fa. E' difficile elencare le sue tappe e i suoi successi, da quando appesa al muro la laurea in giurisprudenza e l'abilitazione alla professione di avvocato si è dato «anima e corpo» alla politica: nove volte deputato, sedici ministro, vicesegretario nazionale della Dc e per 27 anni sindaco di Gissi, il paese natale in provincia di Chieti. Il carisma di Gaspari, «zio Remo», resta legato alla stagione più fertile della storia economica e sociale dell'Abruzzo, è l'uomo che ne è stato per 60 anni il leader riconosciuto e comunque ascoltato. Piaccia o no, il suo nome è sinonimo di una politica che ha caratterizzato un'epoca.

Nell'aprile del 1994 il ritiro, dal consiglio comunale di Gissi e da ogni incarico pubblico, ma l'Abruzzo è rimasto naturalmente, e sempre, nel cuore del suo interesse e al centro della sua passione. E' infaticabile, segue, si informa, commenta, partecipa, s'indigna. E' presente nell'oggi, ma guarda al futuro con amareggiata sfiducia. Nei giorni in cui la Regione si prepara a celebrare il quarantesimo compleanno, Remo Gaspari lavora lontano. Stesso studio romano di sempre, viale delle Milizie, da dove in contatto con enti e ministeri continua a risolvere problemi per tante regioni. «Meno la nostra, non mi cercano mai», dice. L'immagine basta ad illustrare l'abisso che separa l'Abruzzo di oggi e quello di ieri.

«Vorrei parlare del mio sogno, che era quello di un Abruzzo sempre più prospero, senza disoccupati e senza emigranti, quello che ho vissuto. E per farlo voglio iniziare dagli anni tra il 1953 e i Settanta». L'Abruzzo che racconta Gaspari parte da qui, da ciò che c'era e non c'è più. E poi la regione che crescerà per effetto di un boom economico che ha diffuso benessere, e quella del declino che ha visto sfumare ricchezza e posti di lavoro, che stenta a risollevarsi dal disonore dei processi per corruzione e dal baratro della bancarotta finanziaria.

«Tra il 1953 e gli anni Settanta si decise il nostro destino. Due avvenimenti sono per me il segno della svolta, hanno fatto storia anticipando il processo di modernizzazione». Gaspari traccia nell'aria una immaginaria carta geografica dell'Abruzzo, e spiega: «Qui a nord, al confine con le Marche, da Giulianova in su l'area costiera era una palude putrida per molti chilometri, ufficialmente segnalata a rischio di malaria; i carabinieri che vi prestavano servizio avevano la cosiddetta "indennità di chinino". Qui a sud lo stesso, era una palude tutta la riva sinistra del fiume Trigno. Io ero deputato, feci due leggi con la dovuta copertura finanziaria per trasformare quegli acquitrini in aree ospitali e in pochi anni fiorirono Alba Adriatica e Martinsicuro a nord e San Salvo a sud». L'onorevole si accalora, ragiona: «E' stata una metamorfosi affascinante, da palude a nuova frontiera del turismo, un ribaltamento compiuto con audacia. L'inizio di una scuola di pensiero e di azione: uscire dalla depressione si poteva».

«Altro fatto rilevante e irripetibile, che ha reso forte e valido il progetto di creare possibilità di benessere diffuso e posti di lavoro, è stato il clima politico di confronto tra noi e la maggiore forza di opposizione, il Pci, che si è stabilito con l'avvento della Regione. Il dibattito si svolgeva a due livelli, quello ideologico sulla diversità della concezione del mondo e della società che ci trovava sempre contrapposti, e quello pratico dei programmi. Dove la sinistra era sollecitata a scendere dal limbo delle idee astratte, dalle chiacchiere, e a cimentarsi sulle cose da fare qui e subito. La Regione pulsava, lo Statuto è stato votato all'unanimità. E quindi si è aperta una fase collaborativa che ha interessato tutta la popolazione. La forza propulsiva è stata sempre e comunque ciò che andava a beneficio dei cittadini, la soluzione dei problemi della gente. C'era un connubio strettissimo tra la politica e la società civile, la rappresentanza Dc sia a Palazzo dell'Emiciclo sia in Parlamento viveva all'interno della società civile, non c'era soltanto un approccio elettorale, facevamo incontri continui dai quali emergevano le esigenze, le necessità, le priorità. E' così che abbiamo realizzato piani per la casa, tre università, le autostrade, sei aree industriali, tutto quel che abbiamo fatto insomma. La società civile non chiedeva cose inutili, voleva fatti che producessero ricchezza, noi eravamo lo strumento istituzionale per raggiungerli. E i risultati arrivavano, l'impegno programmatorio e legislativo della Regione era notevole, a Roma l'Abruzzo contava. Nel governo siamo stati anche tre ministri, nell'Agenzia per il Mezzogiorno eravamo quasi maggioranza. Alla Camera e al Senato eravamo autorevolssimi. Persino in Europa avevamo prestigio e considerazione. Lorenzo Natali, aquilano, commissario all'agricoltura, ha finanziato interventi straordinari e ha ricoperto incarichi eccezionali, Bruxelles gli ha affidato la responsabilità dell'ingresso della Spagna e del Portogallo, ha deciso lui».

E' la irripetibile stagione del «miracolo economico», che Gaspari rivendica con orgoglio ricordando con quanta energia la politica dispiegasse allora la sua operatività. Un torrente in piena, snocciola cifre e percentuali senza consultare appunti, tutto a memoria. «Il sistema funzionava: dal 1970 al 1992/94 è stata l'età d'oro della giovane Regione, gli emigranti non partivano più ma tornavano, ricchezza e massima occupazione sono stati il frutto della nostra politica di partecipazione, al servizio della nostra gente e con la nostra gente. L'Abruzzo ha avuto il maggior aumento del reddito pro capite alla media di oltre il 3 per cento l'anno, due punti più della Lombardia, e un incremento di 4 mila posti di lavoro all'anno. Abbiamo guidato lo sviluppo dell'Italia. Non so se mi sono spiegato». Forte e chiaro, onorevole.

E dopo il 1994? «Poi si è stoppato, e c'è stato il crollo. Nessuna grande opera, il reddito degli abruzzesi è precipitato, si sono persi 40 mila posti di lavoro». Come è avvenuto? Come hanno fatto a perdere vitalità? «E' subentrata un'altra politica. Quando io mi sono ritirato la mia politica è stata abbandonata. E' venuto fuori il clientelismo». Clientelismo, onorevole? «Sì lo so, detto da me può sembrare una presa in giro. Accusavano me di clientelismo, ma non era così. Oggi la Regione Abruzzo, dico l'ente, ha una quantità di personale pari al doppio della Lombardia che ha 7 milioni di abitanti. Questo è il clientelismo. Una enormità di risorse destinate a spese improduttive e nulla agli investimenti, si finanziano feste patronali. Io ho sempre considerato lo Stato e la Regione come fabbriche particolari, che devono produrre beni e servizi per la collettività al minor costo possibile e con il maggior livello di qualità. Noi abbiamo fatto così, decisioni rapide, gestione snella, efficace. Esemplare l'episodio della Texas Instruments, azienda statunitense di grande rilievo, elettronica avanzata, memorie per computer. Un insediamento in Europa faceva gola alla Francia, all'Inghilterra, alla Germania. Abbiamo vinto noi, convincemmo la Texas a realizzare uno stabilimento ad Avezzano; Prodi, presidente dell'Iri, si congratulò con me perché l'Italia aveva conquistato un capitale straniero di rilievo internazionale. Bene, sembrava tutto fatto ma vennero da me il sindaco di Avezzano e il presidente del consorzio industriale a dirmi che la realizzazione dell'impianto non era possibile perché il terreno scelto era degli usi civici. Rischiò di andare tutto all'aria, e noi una figuraccia planetaria. Presi in mano la situazione e il problema fu risolto: in un giorno, la giunta regionale deliberò al mattino e il consiglio la sera, furono cancellati gli usi civici. La Texas Instruments significò 2000 posti di lavoro di elevata specializzazione, laureati e tecnici diplomati nelle nostre scuole; adesso si chiama Micron e non conosce la crisi. Di episodi come questo è lastricata la strada del boom economico abruzzese».

«Oggi non è più la stessa filosofia che guida le scelte politiche, oggi si fa politica per mangiarci su e per mantenere clientele. Abbiamo un costo della Regione che assorbe tutte le disponibilità finanziarie, paghiamo maggiorazioni dell'Irap e dell'Irpef per cui abbiamo la più alta tassazione del Paese, ma non si spende un euro per investimenti produttivi, il clientelismo uccide lo sviluppo. Paghiamo il personale abnorme, gli incarichi particolari, le consulenze, tutte spese che bruciano la ricchezza collettiva e rendono ricchi personaggi falliti. La classe dirigente è indifferente ai problemi del lavoro e dell'occupazione. Queste cose le denuncio ad ogni occasione, cerco di sradicarle ma non c'è niente da fare perché i politici oggi sanno fare solo questo, non sanno coltivare il consenso con le cose utili e cercano di coltivarlo con azioni clientelari. A livello parlamentare siamo diventati inesistenti, nessuna autorità, fra i ministri dell'Abruzzo nemmeno se ne parla. Siamo stati la prima regione del mezzogiorno d'Europa, oggi siamo al ventesimo posto. E poi le inchieste, i processi per corruzione».

E' una mattina romana di fine maggio quella in cui il «vecchio leone» Gaspari racconta e si racconta. «L'Abruzzo per me è una ragione oggettiva di vita. Ho imparato da mio padre, l'ho perso che avevo 10 anni ma lui emigrante mi ha inculcato l'amore per la nostra terra. E la mia vita dopotutto è storia d'Abruzzo. Non so se mi sono spiegato». Forte e chiaro.

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