L’anno nero del grano: i prezzi sono crollati, settore a rischio in Abruzzo

Dino Scanavino (Cia): "Se continua così faremo lo sciopero della semina". Sotto accusa il vertiginoso aumento dell’import di cereali esteri

PESCARA. È aumentata del 15-20% la produzione del grano in Abruzzo, prodotto che ha una buona percentuale proteica, maggiore del 14%, con un indice di glutine (scala da 0 a 100) maggiore a 62. Un’annata da incorniciare? No, da mettere negli annali “neri”, colpa del crollo del prezzo del grano, problema che sta facendo sentire i suoi influssi negativi anche nella nostra Regione.

In questi giorni un quintale di grano è quotato 17 euro, lo scorso anno 33 euro; a novembre avevano garantito che si sarebbe attestato a 26,5 euro a quintale. La cerealicoltura nella Regione rappresenta in termini di superficie investita una realtà interessante, non si può dire lo stesso per i redditi conseguiti. È crollato il prezzo del grano e i coltivatori lanciano l’allarme: «Siamo al collasso» e minacciano: «Faremo lo sciopero della semina»; non è uno scenario improbabile che dal panorama agricolo abruzzese potrebbe scomparire la tradizionale produzione di grano duro. L’onda della crisi viene da lontano ed è determinata dalle grosse produzioni mondiali che schiacciano quelle nazionali; la conseguenza è che l’import è cresciuto a doppia cifra.

A operazioni di mietitura quasi concluse, ciò che emerge è drammatico: con i ricavi complessivi ottenuti dalla vendita del prodotto e dall’integrazione assicurata dagli aiuti comunitari, gli agricoltori non riusciranno a coprire nemmeno le spese (i costi produttivi e contributivi sono cresciuti del 30%). «Il problema è che non esiste una politica agraria che tuteli questo settore e che fornisca a esso delle garanzie, come nuovi punti di “ammasso” o stoccaggio, perché quelli che ci sono non sono sufficienti», dice Nicola Sichetti, presidente Cia Chieti-Pescara che aggiunge: «tutto aumenta, concime, aratura, trebbiatura, e il prodotto “grano” è pagato meno». Al pari di altre Regioni anche in Abruzzo la prospettiva, oltre alla minaccia dello sciopero alla semina, è che molti campi saranno abbandonati con un cambiamento anche delle caratteristiche paesaggistiche. «Si rischia», dice con rammarico Sichetti «di non seminare e quindi ci sarà un abbassamento della prossima produzione con un aumento vertiginoso del grano “estero”». È questa un'altra battaglia delle associazioni di categoria che si stanno battendo per avere una filiera certa, una tracciabilità della provenienza del grano con il quale è prodotta la pasta o il pane. I produttori di grano della Cia-Agricoltori Italiani non ci stanno più e lanciano un aut aut: «Se le quotazioni non tornano a salire, riconoscendo al frumento Made in Italy il giusto valore, faremo lo sciopero della semina», ha annunciato il presidente nazionale della Cia-Agricoltori Italiani Dino Scanavino. Di fatto è aperta la mobilitazione della Confederazione su tutto il territorio nazionale. I produttori di grano abruzzesi sono sul piede di guerra. «Non ce la facciamo ad andare avanti, bisogna essere tutelati, l'intenzione e di incrociare le braccia», afferma Rosa Vitullo, titolare dell'azienda agricola Marchetti di Tornareccio, che ha circa 21 ettari seminati a grano. «Una battaglia da fare e la tracciabilità del grano, lottare sulla provenienza, mettere cioè sulle etichette per esempio della pasta: “prodotto con grano italiano”. Tutto è fermo alla legge Alemanno, perché sul miele, sui prodotti lattiero-caseari è obbligatorio mettere la provenienza della materia prima e sul grano no? Ci sono troppI interessi sporchi». Non tutti i produttori di grano soffrono questo tipo di crisi, è il caso di quelle aziende che producono prodotti autoctoni, utilizzati in proprio o venduti a rivenditori specializzati. Un esempio è quello dell'azienda agricola di Catiuscia Sissa di Palombaro, circa 15 ettari coltivati a grano Solina (antica e ottima varietà autoctona), farro, e il vecchio “senatore Cappelli”, grano quest'ultimo con spighe alte 1 metro e sessanta centimetri. «Noi non vendiamo il grano ai grossisti che fanno i prezzi ma il prezzo finale lo faccio io» dice la titolare che aggiunge: «Vendo a negozi specializzati, lo utilizziamo noi, abbiamo dei clienti. Sono prodotti biologici, senza concimi e pesticidi. Ho percorso una strada diversa, faticosa, ma che sta dando delle soddisfazioni». È forse questo il futuro?

©RIPRODUZIONE RISERVATA