PESCARA

La famiglia in fuga da Gaza: «Qui ci sterminano, sogniamo l’Abruzzo per ricominciare»

6 Settembre 2025

La storia di Muhammad, Raina e dei tre figli, da due anni sotto i bombardamenti israeliani. Stanno provando a scappare dalla Striscia, ma uscire è quasi impossibile

PESCARA. «Dormiamo un’ora a notte. Eppure, ogni tanto mi capita ancora di sognare. Nell’ultimo sogno mi trovo davanti a un albero di fichi, tento di coglierne uno, ma attorno c’è del filo spinato. Non riesco. Provo e riprovo, ma alla fine sono costretto ad arrendermi. Ecco, penso che la nostra vita di prima sia questo: un frutto buonissimo che sappiamo di non poter riassaggiare. Mai più». Ore 17. Il sole è ancora alto su Pescara. E lo è anche su Gaza, da dove videochiama Muhammad, 33 anni. Insieme a lui c’è la moglie Rania, 28 anni. Hanno 3 figli. Sadallah è il più grande, ha 11 anni. Poi c’è Aziz, che di anni ne ha 8. E infine Moatatz, il più piccolo, che ha appena 3 anni. Ci sono anche loro dall’altra parte dello schermo. Ci scrutano, sono sorpresi di vederci. Ma poi sorridono e agitano la mano per salutarci. Sembrano impermeabili alla devastazione che li circonda: è la forza indistruttibile dei bambini. Per leggere il volto della guerra – quello vero – bisogna guardare Muhammad e Rania. I loro visi sono così scavati da nascondere tutta la giovinezza di questa coppia di trentenni. Due anni di assedio fanno invecchiare velocemente.

Come tutti i gazawi, il legame con la loro terra è viscerale. Non vorrebbero mai abbandonarla, ma adesso che «non c’è più niente», ci dicono con la voce rotta, «vogliamo soltanto salvare noi e i nostri figli». Oggi tutte le loro speranze di fuga sono riposte nell’Abruzzo. È qui che l’insegnante Andreina Sirena insieme a Wikthor Malikovsky stanno provando a portarli. Per loro ci sono già una casa e un lavoro (Muhammad è un bravo carpentiere), ma tirarli fuori da Gaza è quasi impossibile. Grazie all’aiuto del deputato Nazario Pagano, Sirena è riuscita a contattare il vicepremier Antonio Tajani e gli ha consegnato il messaggio disperato di questa famiglia in cerca di un futuro. Lui ha promesso che farà di tutto per aiutarli, anche se «è molto difficile». Loro, però, non smettono di sperare. Sognano questa terra che «con il mare e i suoi olivi, ricorda molto la nostra, come era prima». Perché a Pescara il sole è alto, il mare è calmo, esattamente come a Gaza oggi. Le somiglianze, però, finiscono qui.

Muhammad, dove siete in questo momento?

«Prima eravamo a Jabalia, una cittadina del Nord accanto a Gaza City. Siamo nati tutti lì. Due settimane fa, però, ci siamo spostati verso Ovest. Adesso siamo vicini al mare».

Perché?

«Con l’occupazione di Gaza city da parte dell’esercito israeliano ci hanno sfollato. Due settimane fa hanno bombardato la nostra casa e siamo dovuti fuggire».

Quante volte avete dovuto cambiare casa?

«Dall’inizio della guerra questa è la quinta».

E ora dove vivete?

«In un garage, insieme ad altre famiglie nostre amiche. Parte dell’edificio è stata abbattuta dalle bombe. Lì abbiamo messo dei tendoni».

L’esercito israeliano ripete a tutti i civili di andare verso il Sud della Striscia. Perché non lo fate anche voi?

«Non c’è niente per noi laggiù. Non conosciamo nessuno. Dove andremmo a vivere? Loro dicono che quella zona è sicura, ma sappiamo bene quanti come noi sono morti».

Esiste una zona sicura a Gaza?

«No, assolutamente. Voi che siete in Occidente dovete sapere la verità che il mondo non conosce: a Gaza non esiste un luogo sicuro. Qui moriamo, tutti i giorni, ovunque. È uno sterminio».

Come vi procurate acqua e cibo?

«Ogni mattina mi alzo all’alba e mi incammino verso l’unico dissalatore rimasto attivo a Gaza. L’acqua costa – e non poco – ma almeno si trova. Per il cibo, invece, è molto più complicato».

Le organizzazioni umanitarie non riescono a fornirvi nulla?

«Gli aiuti umanitari qui non arrivano. L’ultima volta che abbiamo mangiato carne era mesi fa. Da un anno e mezzo non vediamo frutta e verdura. I nostri bambini soffrono molto. L’unica cosa che riusciamo a permetterci è la farina».

Perché usa il passato?

«Perché l’unico mercato che c’era è stato spazzato via dai bombardamenti. La carne costava 400 dollari al chilo, un sacchetto di zucchero 105 dollari, un pacco di pannolini 110. Ma almeno c’era. Grazie all’aiuto di persone come Andreina e Viktor siamo riusciti a sopravvivere. Le voglio raccontare una cosa».

Dica.

«Tempo fa, prima che il nostro quartiere venisse bombardato, grazie al loro aiuto siamo riusciti a comprare l’acqua potabile per tutto il quartiere e, in un momento relativamente tranquillo, a distribuirla. Gli altri soffrono quanto soffriamo noi. Siamo tutti fratelli e sorelle in questa tragedia».

Sa della Global Sumud Flotilla che è diretta verso Gaza carica di aiuti umanitari?

«Siamo molto scettici. Nemmeno se venisse l’intero il mondo e provasse a entrare a Gaza da tutte le direzioni troverebbe il modo».

Andreina e Viktor stanno facendo di tutto per farvi scappare in Abruzzo. Cosa sapete di questa terra?

«Con loro ci sentiamo ogni giorno e, quando la connessione internet funziona, riusciamo a videochiamarci. Sappiamo che c’è il mare. E soprattutto gli ulivi, che per noi sono sacri. In questo assomiglia un po’ alla nostra terra».

Cosa significherebbe per voi poter arrivare qui?

«Avere un nuovo inizio, dopo che qui siamo rimasti senza nulla. Sa, prima avevamo una vita bellissima. Lavoravo come carpentiere e riuscivamo ad avere una vita dignitosa. Una casa, cibo e vestiti sufficienti. E poi questo posto era bellissimo, pieno di verde. Oggi tutto è stato raso al suolo, natura compresa».

Da quanto è che i vostri figli non vanno a scuola?

«Sono passati più di 700 giorni. Non possiamo essere anche gli insegnanti: già pensiamo a farli sopravvivere».

Qui ad aspettarvi ci sono una casa e un lavoro.

«Lo so, io sono un bravo carpentiere. Dico davvero. Mi affidavano progetti importanti. Le ammetto, però, che se fossi lì in Italia mi impegnerei prima di tutto in un’altra attività».

Cioè?

«Spero di poter essere un vostro ambasciatore di Gaza. Aiutare ogni povero, ogni bisognoso, chiunque ne abbia bisogno».

E per i suoi figli cosa vorrebbe?

«Come le ho detto, oggi loro non studiano. Io vorrei che possano tornare a essere felici. Prima le ho detto di quel mio sogno, ricorda?».

Sì.

«Ecco, se riuscissimo a scappare, se riuscissimo ad arrivare in Abruzzo, forse potrebbero prendere quel frutto che io non riesco a cogliere nei miei sogni. Qui potrebbero avere una nuova casa. E una nuova vita».