LA PERDITA DI UN FIGLIO E LA FORZA DEL PERDONO

26 Settembre 2013

Carissimo Papa Francesco,
mi chiamo Doria.
Le scrivo, perché Lei è entrato da subito nel mio cuore, Lei è una persona umile, dolcissima e quando parla si vede che le sue parole le escono dal cuore. Mi piacerebbe davvero tantissimo che Lei potesse leggere la mia storia.

Ho 49 anni ho avuto un'infanzia ed una adolescenza bella, i miei genitori e mio fratello, sposata dal 3 Ottobre 1987 anni con mio marito Claudio e ci adoriamo come il primo giorno. La mia vita dall’età di 23 anni è stata sempre funestata da brutti eventi: nel Luglio del 1987, ho perso il mio papà, per un tumore, aveva solo 52 anni , mentre io ero ricoverata in ospedale perché un pirata della strada mi aveva investito. Non sono potuta né andare al funerale, e lui non è riuscito a vedermi guarita e a volte tutto questo mi fa male, spesso ho il rimorso di non avergli dato l’ultimo bacio, l’ultimo saluto.

Nel 1989, il 26 ottobre c’é stato un lieto evento. È nato Davide, la nostra gioia e la nostra ragione di vita e piano piano è ritornata la serenità nella nostra famiglia. Dopo circa 8 mesi di felicità scopriamo che mio fratello ha un linfoma: anche lì tanto dolore e preoccupazioni, radioterapia, chemioterapia, ma grazie a Dio tutto si risolve per il meglio.

Poi la nostra vita, trascorre serena e felice fino al 2006, quando sempre a mio fratello vengono diagnosticati 2 tipi diversi di tumore alla tiroide, ma poi tutto si risolve per il meglio.

Arriviamo al 18 aprile. Alle ore 18.10, ricevo una telefonata al mio cellulare dove un amico di Davide, mi dice che Davide, ha appena avuto un incidente in moto. In quel momento non ho più capito niente, per fortuna che con me c’era una mia collega che mi ha subito accompagnata sul luogo dell’incidente, perché è successo vicino a casa. Quando sono arrivata ho visto mio figlio disteso a terra, con il viso tutto insanguinato, la moto distrutta ed anche il furgone distrutto. In quel momento mi sembrava tutto un sogno poi ho cominciato ad urlare «è morto, è morto», poi è arrivato anche mio marito, che faceva il vigile urbano, ed era proprio lui, che doveva constatare l’incidente. Siamo andati in ospedale io, mio marito e la mia collega. Le ore sono state lunghe ed interminabili, la paura e la disperazione era sempre di più, poi alle ore 00.30 finalmente i medici ci hanno dato notizie. Ci hanno detto, che in nottata Davide sarebbe stato operato al femore, perché rischiava l'amputazione del piede sinistro e che il giorno dopo lo avrebbero operato al braccio, che l’avrebbero messo in coma farmacologico. Il 21 aprile l’ospedale Maggiore di Bologna ci chiama e ci dice di recarci in ospedale perché Davide si era aggravato, quel giorno, ricordo, che pioveva fortissimo e con m io marito ho subito detto: «Davide è morto», mentre lui mi diceva di stare tranquilla, ma siccome facevo l’infermiera sapevo benissimo che certe notizie per telefono non si danno. Infatti quando siamo arrivati, i medici ci hanno detto che Davide era in morte encefalica. In quel momento il nostro cuore si è fermato per un attimo, poi abbiamo preso la decisione di donare i suoi organi. Davide ha donato cuore, fegato, reni, pancreas, cornee, ossa e cute. Sia noi che Davide abbiamo sempre creduto nel valore della donazione, perché si possono salvare tante vite ed in qualche modo la morte viene sconfitta.

Moltissimi amici di Davide, moltissime persone ci sono state vicino in quei giorni. Nella grandissima disgrazia e dolore atroce ci siamo resi conto che abbiamo cresciuto un figlio adorabile, buono, gentile, educato e con tanta voglia di vivere e di vedere tutti sorridere, aveva sempre una parola di conforto per tutti quelli che ne avevano bisogno.

Durante la degenza di Davide in rianimazione, è venuto anche colui che ha investito Davide. Appena l’ho visto, il mio istinto è stato quello di andarlo ad abbracciare e fargli forza. Noi tutti lo abbiamo perdonato. Molti ci hanno chiesto, ma come abbiamo fatto a perdonarlo, a questo domanda io rispondo sempre che il perdono bisogna meritarselo, e lui se lo è meritato davvero.

Ora mi è rimasto un desiderio, quello di conoscere coloro che hanno ricevuto i suoi organi, sarei contenta anche solo di sapere se loro hanno il mio stesso desiderio. Ora la nostra vita, non è più vita, è solo sopravvivenza, io so dove sono andati gli organi. Uno deimalati era di Teramo. Spero davvero che Lei possa leggere la mia lettera, vorrei davvero tantissimo poterla abbracciare ed avere anche la sua benedizione. Avrei voluto scriverle una lettera a mano, ma purtroppo non so l'indirizzo dove poterla spedire, ma sono certissima che questa mia missiva le arriverà.

Le allego una foto del mio angelo Davide.

Le porgo distinti saluti, la abbraccio forte forte con immenso affetto e stima.

Doria De Polo