La Regione rinunciaal Piano per il Sude si divide anche sui Fas

Maggioranza e centrosinistra divisi anche sui fondi Fas (foto: Gianni Chiodi)

L'AQUILA. Fallisce l'obiettivo di compattare l'Abruzzo politico attorno a un unico documento sul Piano per il Sud e i 611 milioni dei fondi Fas. Neanche la convocazione straordinaria del consiglio regionale a Ferragosto riesce a produrre quanto aveva auspicato in un'intervista al Centro, «su un argomento così importante», il presidente dell'assemblea Nazario Pagano. Eppure alla fine, sia pure con qualche smussatura, la proposta dell'opposizione del centrosinistra poteva benissimo coincidere con quella che la maggioranza di centrodestra aveva preparato e tenuto nel cassetto: che la giunta regionale, cioè, esercitasse (o assumese) ogni iniziativa utile nella prima riunione operativa del Cipe (forse a ottobre) affinché venga approvato lo schema d'assegnazione dei fondi pubblici. Invece, come due bambini insolenti, il centrosinistra ha votato la sua proposta e il centrodestra ha continuato a sostenere la sua riuscendola a condurre in porto con la sola astensione dell'Udc.

Occasione mancata. La convocazione a Ferragosto del Consiglio, la prima nella storia della nostra regione, si tramuta in una sconfitta politica consegnando a Roma, sede delle decisioni che contano, ancora una volta la fotografia di un Abruzzo belligerante, che non sa mettersi d'accordo su questioni vitali come in questo momento sono lo sviluppo e l'occupazione.
Due bambini che non si sono mai «incontrati» in aula, malgrado la presenza dei parlamentari (solo sei su 20, i senatori Legnini, Piccone, Tancredi e Mascitelli, e i deputati Tenaglia e Di Stanislao) e di un folto pubblico incuriosito dalla novità ferragostana e da che cosa sarebbero comunque riusciti a combinare i suoi rappresentanti. Pieni anche i banchi con le assenze di sette consiglieri (Ricciuti, Castiglione, Tagliente, Saia, Acerbo, Giuliante, Iampieri) nei confronti dei quali è stata annunciata la multa di 400 euro.

Pd e Idv hanno cominciato a «picchiare duro» contro la giunta del presidente Gianni Chiodi (commissario alla Sanità), lo stesso governatore è stato accusato («politicamente parlando») dai capigruppo Camillo D'Alessandro (Pd) e Carlo Costantini (Idv) di raccontare bugie. La risposta del Pdl non si è fatta attendere. Rabbuffo (Fli) ha provato a ricucire proponendo il documento unico, ma la maggioranza ha fatto quadrato attorno a Chiodi. E le strade, così, non si sono mai incrociate. Nessun armistizio, nessun accordo. Anzi, una «rinuncia».

Perché il testo approvato dal Pdl impegna, sì, la giunta al raggiungimento dell'obiettivo sui fondi Fas, ma non fa altrettanto (cosa che invece il Pd auspicava tramite il sostegni dei parlamentari) per far rientrare l'Abruzzo nella programmazione prevista per il Piano per il Sud. Si tratta della fetta di miliardi di euro che il governo destina alla regioni del Mezzogiorno attraverso interventi (risorse pubbliche) mirate alle infrastrutture. L'Abruzzo non vi fa parte perché, come nel 1994 era uscito dalle Regioni dell'Obiettivo Uno assistite dall'Europa, secondo le valutazioni del governo, ha compiuto passi in avanti rispetto alla media del Sud (vedi tabella a destra).

Per il centrosinistra la realtà economica è diversa, la crisi soprattutto occupazionale, rende la situazione dell'Abruzzo simile, se non uguale, a quella di altre regioni che continuano ad attingere al Piano per il Sud: «La giunta sottovaluta la crisi». Per Chiodi e il centrodestra no. Il governatore ha ripetuto che l'Abruzzo è nella fascia alta delle regioni che appartengono all'area della competitività (nella fascia bassa vi sono Sardegna e Basilicata) e per le quali la programmazione avrà risvolti pratici sull'erogazione dei fondi europei. Risvolti che, ad esempio, dovrebbero portare alle imprese private la possibilità di usufruire di erogazioni a fondo perduto su finanziamenti regionali e nazionali.

«Tutto il resto è "fumisteria"», ha detto Chiodi confermando il suo piano per i Fas. «Adesso che la tavola è imbandita volete partecipare?», ha proseguito rivolgendosi alle opposizioni e lasciando comunque la porta aperta ai parlamentari: «Devo dire che mi sarebbe piaciuto avere un sostegno bipartisan», ha premesso girando lo sguardo verso la prima fila di deputati e senatori (Piccone era andato via e Tancredi si era alzato), «ciononostante ci si può incontrare per un confronto sincero sulle difficoltà del momento. A patto che, lì dove si dica che non va bene, ci sia una proposta».

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