La virologa Ilaria Capua torna in Abruzzo: «Qui ho lasciato un pezzo di cuore»

4 Giugno 2025

La sua carriera iniziata a Teramo nel 1991 subito dopo gli studi: «Mia figlia usa ancora espressioni dialettali e ama le mazzarelle, sono legata ai miei ex colleghi»

PESCARA. “Nulla è permanente, tranne il cambiamento”. Un aforisma del filosofo greco Eraclito a caratteri cubitali è il suo biglietto da visita sul sito web ufficiale. «Il cambiamento è salvifico per l’uomo», dice Ilaria Capua, virologa, docente alla Johns Hopkins University Sais Europe di Bologna, venerdì mattina ospite dell’evento di FutureProofSociety all’Aquila per parlare della sua teoria sul modello One Health e sulla salute circolare. Sarà un ritorno in Abruzzo per la scienziata che proprio nella nostra terra ha mosso i primi passi di una carriera che l’ha vista pubblicare studi e ricerche in tutto il mondo. Dal 1991 al 1998 la professoressa Capua è stata la responsabile di virologia dell’Istituto zooprofilattico di Teramo.

Ci racconta la sua esperienza abruzzese?

«Ho vissuto sette anni a Teramo, sono molto legata all’Abruzzo e agli abruzzesi perché ho passato lì una parte importante della mia vita e ho conosciuto persone straordinarie, con cui ancora adesso, a quasi 30 anni di distanza dalla mia partenza, sono in contatto. Una regione popolata da persone speciali».

Se dico Abruzzo, lei cosa risponde?

«Mare e montagna, posti meravigliosi, affetto e divertimento. Con i colleghi mi sono divertita molto, ma ho anche lavorato tanto. Sono arrivata nel 1991 ed era il periodo in cui è iniziato il rilancio dell’Istituto zooprofilattico con il professor Caporale, che reclutò allora tanti giovani preparati e volonterosi. Ci fece lavorare sodo. Ma sulle fondamenta di quegli anni, l’istituto oggi è una splendida realtà».

All’Aquila venerdì ritroverà qualche vecchio collega o amico degli anni teramani?

«Sono in partenza per il Giappone, farò una scappata e quindi non potrò salutare nessuno. Vorrei abbracciare attraverso quest’intervista i miei amici e i miei collaboratori, che mi hanno permesso di cominciare a pubblicare su riviste internazionali. In quegli anni non era semplice».

Su cosa incentrerà il suo intervento venerdì mattina? E cosa intende con i concetti di One Health e salute circolare?

«Parlerò di salute circolare, una mia visione che parte dal concetto di One Health, ma si spinge oltre. Mi spiego: immaginate un terrario, di quelli che molti hanno sulla loro scrivania. Un micro ecosistema chiuso. Salute circolare significa far capire alle persone che il nostro pianeta è un sistema chiuso, come un terrario, quindi tutto quello che si fa al suo interno alla fine ci torna indietro. Acqua, aria, terra e fuoco sono elementi determinanti: la salute delle persone dipende da questi elementi e da ciò che accade sulla terra, dalla salute degli animali, delle piante e dell’acqua, di cui siamo fatti al 70%. Dell’aria e del fuoco: ad esempio, dagli incendi causati anche dai cambiamenti climatici scaturiscono polveri sottili che respiriamo. Tutto è connesso. Io cerco di stimolare la responsabilità collettiva: i problemi ambientali che conosciamo, da soli non si aggiustano. Dobbiamo rispondere a linee guide europee e nazionali, ma dobbiamo anche fare la nostra parte. Dobbiamo capire che dentro questo terrario ci siamo noi. E se non siamo capaci di tenerlo ordinato e pulito, alla fine va tutto in malora».

Lei è stata in prima linea durante la pandemia da Covid 19. Quel periodo cosa ci ha lasciato?

«La consapevolezza che siamo molto vulnerabili, e che questa vulnerabilità dobbiamo affrontarla».

La politica, mondo che lei conosce bene tanto quanto la scienza, che ruolo ha avuto nella pandemia?

«Molte parole sono state spese sulla sanità e in glorificazione di chi ci lavora, ma questo si è tradotto poi in pochissima azione diretta per migliorare. Un vero peccato. La salute ci rende liberi e ci dà possibilità di fare quello che amiamo. Il lockdown ce lo ha insegnato. Parole e promesse non trasformate in azioni ci dicono che la politica non è stata lungimirante».

Che mondo sarebbe stato quello di oggi se non fossero stati prodotti subito i vaccini anti Covid?

«Avremmo avuto milioni e milioni di morti in più, milioni di persone con conseguenze gravi causate dall’infezione. Il vaccino ci ha protetto dalle forme più severe. Infettarsi senza protezioni significa prendere una polmonite grave, e quindi sovraccaricare gli ospedali».

L’onda no vax imperversa sul web, con le sue teorie complottistiche. Perché tanto scetticismo verso la scienza?

«Il movimento no vax esiste da secoli. I social, l’irrintracciabilità di certe fonti e le teorie complottisitiche, che hanno il loro fascino, hanno fatto crescere il fenomeno in questi anni. Le persone che s’informano da fonti non sicure sono libere di farlo, ma l’evidenza dell’efficacia dei vaccini è sotto gli occhi di tutti. Basta vedere cosa accade negli Usa oggi con il morbillo. Grazie al ministro Kennedy in tanti non hanno vaccinato i figli e l’epidemia è tornata ai livelli di 50 anni fa. Trump? Non condivido le scelte dell’amministrazione americana, spero che arrivi presto un’inversione di tendenza».

Tanti genitori, anche giovani e ben istruiti, non vaccinano i figli.

«Non siamo all’inizio del ‘900, siamo nel 2025: basta guardare quattro numeri sul web da fonti attendibili per capire quanto siano efficaci i vaccini. Non entro nel merito di quello che le persone decidono di fare, spero solo che le cose gli vadano bene. Il morbillo, ad esempio, ha forme molto gravi e può dare encefaliti».

Tornerà un giorno a impegnarsi in politica oppure con quel mondo ha chiuso?

«Sono entrata con moltissime buone intenzioni, durante la mia esperienza dal 2013 al 2016 parlavo di problemi reali, tra questi le pandemie, cercando di sollecitare i colleghi a occuparsene. Non è stata un’esperienza né produttiva né felice, ci ho provato, ma mi sento di dire che ho dato».

Molti suoi colleghi dopo la pandemia sono rimasti ospiti fissi (o comunque molto presenti) in tivù. Lei no.

«È una mia scelta, anche perché mi faccio vedere quando c’è bisogno e quando ci sono argomenti di mia competenza. Voglio rimanere fedele alle mie vere competenze».

Ai cittadini che vogliono contribuire alla salvaguardia del pianeta quali consigli può dare?

«Basterebbe lavarsi le mani due volte in più rispetto a quanto non lo si faccia tutti i giorni. Tante malattie si trasmettono così. E non buttare i farmaci scaduti o inutilizzati nel gabinetto o nell’immondizia urbana perché da lì vanno a finire nell’ambiente e fanno danni. Smaltiteli in farmacia».

Professoressa, cosa le ha lasciato l’Abruzzo?

«Io ci ho lasciato il cuore. Di traslochi ne ho fatti tanti nella vita, ma andare via da lì è stata una delle cose più dolorose. Mia figlia di 21 anni, pur non essendo nata in Abruzzo, ama così tanto la vostra terra che dice anche frasi in dialetto. Ad esempio, la frase “s’ha magnat pure lu cucc de la colle” (si è mangiato pure l'ultima briciola, ndr). E ama le mazzarelle. Appena può, mi chiede: quando mi porti a Teramo a mangiarle? In realtà, ci torniamo spesso. Anche a Pescara. All’Aquila non sono mai stata». Lo farà venerdì mattina.

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