Licia Maglietta, teatro e poesia

26 Aprile 2010

L’attrice-architetto ha dato voce al Premio Nobel che piace ai giovani

Con i versi di un premio Nobel, Wislawa Szymborska, Licia Maglietta ha avvinto la platea di TerAmoPoesia. L’attrice napoletana, milanese d’adozione, ha dato corpo e voce con «Ballata» alle liriche della poetessa polacca.

Come è avvenuto l’incontro con la poesia di Wislawa Szymborska? Cosa l’ha colpita dei suoi versi?
«La leggo da tempo, da quando sono state pubblicate la prima volta in Italia le sue poesie. Ho dovuto però attraversare una parte della mia vita e alcune esperienze per capire fino in fondo la sua grandezza di donna e poetessa. La sua poesia non è mai eclatante, è sottile, di una semplicità che è saggezza. Scarnifica tutto, lasciando nei versi il nucleo di questa nostra vita. Bisogna fare un percorso di vita per apprezzarla. Tuttavia è molto amata anche dai giovani. Sono contenta di questa serata a Teramo perché ho visto tra il pubblico sia persone anziane che ragazzi. E capivo dalle facce quanto la sua poesia parli al cuore degli uni e degli altri, e questo è commovente».

Nel 1995, e poi per una decina di stagioni, lei ha portato in scena il monologo «Delirio amoroso», tratto dai versi di Alda Merini. Poetessa dalla personalità e dal linguaggio molto diversi da Szymborska.

«Sì, persone molto diverse, che raccontano la vita da punti di vista molto differenti. Ricordo che quando portammo “Delirio amoroso” a Milano lei era sempre presente, con quel suo sorriso».

Lei ha una laurea in architettura. Ha mai pensato di esercitare la professione di architetto o è stata subito rapita dal teatro?
«Recitavo già mentre frequentavo la facoltà di architettura. La laurea è un mio bagaglio culturale importantissimo, una qualcosa che non è mai diviso dal mio lavoro di attore. Il mio rapporto con lo spazio deriva dai miei studi. Nei miei spettacoli tutte le scene sono disegnate da me».

A Napoli, negli anni Ottanta, ha partecipato da protagonista alla grande stagione creativa del teatro di tendenza, con i gruppi di Mario Martone, Falso Movimento e poi Teatri Uniti, in spettacoli che hanno fatto epoca, «Tango glaciale», «Ritorno ad Alphaville», «Rasoi». In quell’esperienza cos’era importante?
«Il gruppo. E intendo quel saldo e intricato rapporto di complicità sul progetto, con la partecipazione intellettuale di tutti. Rapporto che pian piano si è perso. Erano gli anni del progetto collettivo, in cui ognuno dava il proprio apporto creativo, tutti potevano fare tutto. Tutti potevano montare la scena o fare i camionisti. Oggi invece c’è la specializzazione e ognuno resta confinato nel proprio specifico».

Anche il suo passaggio al cinema è avvenuto nel segno della ricerca, con film come il corto «Nella città barocca», «Morte di un matematico napoletano», «L?amore molesto». Poi arriva la commedia con Silvio Soldini e il suo «Pane e tulipani», con cui ha vinto il David.
«A teatro è normale passare dalla commedia alla tragedia, io posso essere Mirandolina e subito dopo Lady Macbeth. E mi piace moltissimo. E’ proprio dell’attore passare da un genere all’altro. Ma ciò nell’ambito del cinema sembra strano, perché non vi è il grande lavoro sul personaggio che si fa a teatro. Dopo “Pane e tulipani” mi sono arrivate valanghe di copioni di commediole, che ho rifiutato per interpretare “Luna rossa” di Antonio Capuano, una tragedia contemporanea su una famiglia camorrista, con omicidi, tradimenti, incesti, ispirata all’Orestea di Eschilo. E a molti sembrò strano».

Nel 2007, diretta da due giovani registi, Genovese e Miniero, ha interpretato per la televisione “Viaggio in Italia”, insieme a Antonio Catania, un film in pillole. E’ stata la voglia di misurarsi ancora con linguaggi nuovi?
«Ho accettato perché «Viaggio in Italia» era un progetto scritto bene. E oggi mancano le storie, manca la drammaturgia. E’ questo il grande vuoto del nostro cinema, a parte la grave mancanza di personaggi femminili.

Lei ha doppiato la nonna della protagonista nel cartone animato iraniano “Persepolis”, di Marjane Satrapi. Che esperienza è stata?
«L’idea del cartone animato mi ha molto divertito. Ma il doppiaggio non era una novità per me. Ho anche vinto un premio per il doppiaggio di “Brucio nel vento” al festival “Voci nell’ombra”, a Sanremo. Lì ho capito la bravura dei doppiatori. E’ un lavoro affascinante, anche se io sono a favore dei film sottotitolati, perché è importante sentire la voce dell’attore. Purtroppo in Italia abbiamo questa cattiva abitudine di doppiare i film».

A cosa sta lavorando ora?
«Sto portando in scena da un anno e mezzo “Manca solo la domenica. Peripezie di una vedova”, pièce tratta da “Pazza è la luna”, una raccolta di racconti dell’autrice siciliana Silvana Grasso. Un lavoro ironico, surreale, assurdo, in cui sono in scena con il fisarmonicista russo Vladimir Denissenkov. Ora partirà la tournée estera, Parigi, Madrid».