Mazzini, filosofo raffinato

10 Febbraio 2011

La più importante figura del Risorgimento italiano

Terzo appuntamento con i protagonisti del Risorgimento italiano in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia (1861 - 2011). Dopo Cavour e Garibaldi è la volta di Giuseppe Mazzini. Ne parla, nell'intervista che segue, Francesco Sanvitale, musicologo e storico che ha in uscita, per la casa editrice Edt di Torino, il volume «L'altra faccia del mito. Il Risorgimento, Garibaldi e la musica».

Giunti al terzo dei nostri quattro personaggi possiamo individuare un aspetto che ne evidenzi elementi da cui sono accomunati?
«Cavour, Garibaldi, Mazzini e Vittorio Emanuele, costituiscono il vertice di una piramide che può essere considerata come il sacrario dell'eroismo e della politica del Risorgimento. Da essi poi discendono tutti gli altri personaggi che nell'insieme costituiscono il Panhtheon laico dei protagonisti del processo unitario. E proprio la diversità dei quattro, il loro stesso entrare più volte in contrasto, il rappresentare caratteristiche diversissime nonché altrettanto eterogenee storie personali, sono gli elementi che condensano le profonde diversità nel percorso unitario».

Come si pone Mazzini nel processo che ha ricordato?
«Contrariamente a quanto ha affermato una storiografia fortemente condizionata dall'Italia monarchica, Mazzini non fu l'utopista corruttore dei giovani valorosi che in suo nome bruciarono le proprie vite. La sua figura, insieme a quella di Garibaldi, è forse la più completa e concreta in una dimensione raffinata e profonda del suo pensiero. La visione di un cospiratore prigioniero delle proprie trame rivoluzionarie che faceva leva sull'ingenuità dei giovani patrioti, è quanto mai lontana dalla realtà. Giuseppe Mazzini, di cui è impossibile ridimensionare la figura del rivoluzionario militante, fu il grande intellettuale tra i quattro. Un filosofo della politica che analizzò le vicende storiche, le radici del Paese diviso, traendone motivazioni concrete per l'obiettivo unitario e la forma repubblicana. Il suo costante riferimento ai giovani che furono i suoi principali interlocutori, il fatto stesso di fondare un movimento denominato Giovine Italia, e più tardi, sempre con grande senso di una visione più ampia, creando la Giovane Europa, è la dimostrazione di un convincimento per il quale dovevano essere le nuove generazioni a condurre il Paese verso l'unità per garantirgli una solidità politica fondata su ideali alti e in sintonia con molti aspetti della storia passata e l'energia per un futuro stabile e positivo».

Mazzini è stato trascurato dalla storiografia?
«Ci si è fermati all'aspetto più superficiale, del rivoluzionario testardo e incapace di ogni pur utile compromesso in un'epoca in cui per il raggiungimento del Grande Obiettivo, furono in molti, a cominciare da Garibaldi a mutare o ad attenuare le proprie posizioni ideologiche. Questo non è vero, come dimostra la lettera a Vittorio Emanuele del 1859, in cui argomentava sulla storia d'Italia, recente e passata, perché avvenisse quella unità cui, per il bene della nazione avrebbe ceduto al suo incrollabile credo repubblicano se il re sabaudo l'avesse realizzata. A questo gesto di responsabilità e di amor patrio non corrispose, da parte del re e degli ambienti monarchici, un reciproco sentimento. L'Italia unificata dai mazziniani fu stupidamente irriconoscente nei confronti di Mazzini soprattutto per averne trascurato il retaggio che ancora oggi non occupa il posto che gli spetterebbe. L'affermazione che l'Italia venne unificata dai repubblicani seguaci di Mazzini è quanto mai vera nella storia del Risorgimento. La capacità che il grande filosofo e politico ebbe di coinvolgere il movimento patriottico a ogni livello, fu totalizzante. Aderire agli ideali mazziniani era l'iniziazione per ogni combattente della libertà della patria. Per contro, è innegabile che in molti successivamente si distaccavano dal rigore mazziniano convinti che la via dell'unità dovesse passare per Casa Savoia. Questo processo, che oggi possiamo definire involutivo, condizionò l'azione di molti convinti e sinceri repubblicani. Resta il fatto della inadeguatezza della dinastia sabauda a regnare su una nazione che appena unificata avrebbe avuto bisogno di ben altre personalità. I reali italiani non seppero andare oltre una visione che poneva al centro non le prospettive di una nazione moderna da inserire nel più ampio scacchiere europeo, ma che restavano ottusamente legati alla ridotta dimensione culturale sostanzialmente piemontese da esportare nel resto della nazione. Vittorio Emanuele II nel suo intimo, considerò il regno che Garibaldi gli portava in dono a Teano non come uno stato conquistato dal sangue di tanti giovani che volevano cambiare il mondo costruendo l'Italia, ma pensò piuttosto a una annessione al suo Piemonte. Non è un mistero il fatto che in Casa Savoia si parlasse correntemente in piemontese e più volentieri in francese che in italiano. Così come non fu un caso che assumendo la corona d'Italia Vittorio Emanuele conservò la numerazione dinastica di II qual era come re di Sardegna, quando avrebbe dovuto chiamarsi Vittorio Emanuele I re d'Italia».
L'unità pagò questa impostazione riduttiva».

Quali possono essere le azioni salienti promosse da Mazzini?
«La prima è la leggendaria esperienza della Repubblica Romana in cui dette prova di essere tutt'altro che un semplice teorico ma nel triunvirato con Aurelio Saffi e Carlo Armellini nei pochi mesi della sfortunata esperienza (febbraio - giugno 1849) disegnò l'impalcatura di uno Stato moderno prendendo decisioni in modo veloce e concreto ma soprattutto elaborando una costituzione, scritta da una assemblea eletta con una enorme partecipazione di popolo, a smentita di quanti ancora si ostinano a dipingere il Risorgimento come un movimento d'elite. Quella costituzione, ancor oggi moderna nella scrittura e nei principi, fu ispiratrice di molti elementi della nostra attuale costituzione repubblicana, varata nel 1947. Inoltre, va considerato il suo pensiero che oggi potremmo definire dal contenuto religioso e profetico, indubbiamente caratteristiche che mal si adattavano alla sfuggente e cinica politica trasformista che caratterizzò, l'azione di Cavour per concreti e immediati risultati. C'è da dire che il pensiero mazziniano, a volte duro fino allo stoicismo, forse sembrava imbrigliare l'azione politica, ma probabilmente avrebbe creato le basi per uno Stato più consapevole dei diritti e dei doveri della classe dirigente e dei cittadini, invece che abituare le componenti della società italiana a una continua rincorsa delle soluzioni facili, poco durature e spregiudicate».

E il Mazzini uomo?
«Il padre Giacomo fu medico e docente di Anatomia all'università di Genova e fu attivo in politica ai tempi della Repubblica Ligure e nel periodo napoleonico. La madre, Maria Drago, fu il personaggio chiave della sua biografia. Rappresentò un costante punto di riferimento per il giovane Giuseppe ma continuò a influenzare il figlio anche nei lunghi anni d'esilio in Francia, Svizzera o a Londra. Da lei imparò a l'amore per la musica che conosceva bene esercitandola con la chitarra di cui era un ottimo esecutore. Dopo aver iniziato gli studi di Medicina preferì laurearsi in Legge e iniziò anche a lavorare in uno studio, benché fosse attratto dalla più dinamica professione di giornalista che lo portò a occuparsi di politica. Nel 1827 aderì al movimento carbonaro che lo costrinse all'esilio a Marsiglia dove nel 1831 fondò la Giovine Italia. La via dell'esilio fu la costante della sua esistenza e molti dei suoi anni li passò a Londra dove strinse amicizie importanti dal punto di vista culturale e politico. Il suo impegno rivoluzionario fece pendere sul suo capo due condanne a morte. Fu candidato alle elezioni del Parlamento italiano nel primo collegio di Messina ma la Camera annullò l'elezione (ottenuta con una schiacciante maggioranza) per le condanne riportate. Mazzini avrebbe chiedere una grazia, cosa che non volle mai fare rifiutando la carica di deputato anche per non giurare sullo Statuto Albertino e restò esule a Londra. Nel 1868 si trasferì in Svizzera e nel 1870 potè rientrare in Italia per un'amnistia generale. Rimesso piede sul suolo patrio cominciò a organizzare un'insurrezione per la conquista di Roma e l'11 agosto partì per la Sicilia dove il 14 all'arrivo a Palermo venne nuovamente arrestato e portato nel carcere militare di Gaeta. Costretto di nuovo all'esilio riuscì a rientrare in Italia sotto il falso nome di George Brown recandosi a Pisa dove visse nascosto fino al giorno della sua morte, in casa di Pellegrino Rosselli quando la polizia italiana stava per incarcerarlo nuovamente».

Una vita dura, fatta di stenti, di fughe, di carcere e di solitudine. Ebbe una vita sentimentale?
«Mazzini amò e fu riamato da numerose donne che restavano affascinate dalla sua profonda cultura, dalla saldezza dei propri principi ma anche da una piacevole figura e dal suo affascinante colloquiare. Pur essendo profondamente credente, ancorché anticlericale e avverso alla chiesa di Roma, non si sposò probabilmente per la dura vita che avrebbe imposto a una compagna. La prima donna amata la incontrò a Marsiglia nel 1831, era un'altra esule rivoluzionaria: la nobildonna Giuditta Bellerio Sidoli, vedova del patriota Giovanni Sidoli. Nel 1832 nacque Joseph Demosténé Adolph Aristide Bellerio Sidoli sicuramente figlio di Mazzini che morì a soli tre anni. Per le contingenze della cospirazione si separarono continuando entrambi a operare in clandestinità. Si scrissero lungamente e si rividero, per l'ultima volta, solo nel 1853 a Torino. Un'altra intima amica fu Giovanna Welsh, moglie del grande poeta inglese Thomas Carlyle. Un'amicizia chiacchierata che però non suscitò mai gelosie tra i due amici anche perché il poeta trascurava affettivamente la moglie essendo innamorato di Enrichetta Barney. A Londra Mazzini era circondato da un gruppo di donne che egli chiamava il "mio clan" che lo coccolavano e lo servivano con devozione. Il suo ascendente su di loro era fortissimo per il brillante intelletto, la sua voce calda nel parlare tanto che erano tutte, pur appartenenti all'Inghilterra vittoriana, repubblicane e filo italiane. Tra esse Clementine Tayler, le sorelle Winlworerth, Margherita Fuller, Arethusa Miller e molte altre, ma al centro di tutto questo entourage c'era la famiglia Aschurst: padre avvocato, moglie, un figlio maschio acceso mazziniano e tre sorelle Elisa, Emilia e Carolina tutte innamorate di lui. Elisa, l'unica nubile, si infatuò perdutamente e, non ricambiata, condusse una vita errabonda sul continente sposando un operaio francese e morendo giovanissima. Emilia, che sembra fosse la sua prediletta intrattenne una fitta corrispondenza con Mazzini. Quando venne in Italia per incontrarlo conobbe un ufficiale garibaldino che sposò dopo aver ottenuto il divorzio dal marito inglese. Anche Carolina, benché sposata ebbe una lunga relazione epistolare con Mazzini interrotta soltanto alla morte di lui. Un'altra grande amica fu la giornalista e scrittrice Jessye Meriton, sposata con il patriota italiano Mario che fu intimissima amica nonché biografa di Giuseppe Garibaldi. L'ultima importante relazione fu con Sarah Nathan di famiglia pesarese che aveva sposato un banchiere israelita inglese. Sua figlia Giannetta, consorte del banchiere italiano Rosselli, lo accudì negli ultimi mesi di vita a Pisa. Da notare che Sarah Nathan era anche la madre del sindaco di Roma e Gran Maestro della massoneria italiana Ernesto Nathan, così come discendevano da Giannetta Rosselli i due patrioti antifascisti Carlo e Nello. Concludo prevenendo la sua ultima domanda. Mazzini non fu massone anche se molti mazziniani lo furono e le sue idee erano molto vicine a quelle della liberamuratoria. Gli bastò essere carbonaro».

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