Messa in romeno, la paura dimezza i fedeli

Padre Eusebiu svela un episodio di intolleranza: strappato l'avviso della funzione

PESCARA. Sono le 15,30 e la chiesa di Sant'Antonio è semivuota mentre padre Eusebiu prova ancora i canti della messa. Dal 7 ottobre ogni domenica, a quest'ora, la comunità romena (a Pescara ne sono 812) si riunisce in preghiera attorno al giovane frate. Ma ad un mese di distanza dalle prime, affollate messe, la reazione xenofoba conseguente all'omicidio di Giovanna Reggiani a Roma dimezza la presenza dei fedeli e diventa l'argomento principale dell'omelia del parroco.
«Condanno il grave delitto di Roma, ma prego perchè non si faccia di un filo d'erba un fascio, perchè la maggioranza dei romeni viene in pace in Italia a cercare lavoro. E condanno anche l'aggressione xenofoba, sapendo bene che gesti simili non sono degni del vostro Paese», sottolinea padre Eusebiu Jicmon, nato a Bachau, 31 anni, di cui gli ultimi nove trascorsi a Roma a studiare in seminario, ora parroco della comunità cattolica romena di Pescara e Montesilvano.

Pur se lontano da Roma, la xenofobia comincia a preoccupare anche il frate romeno che sabato scorso ha vissuto sulla sua pelle un episodio di intolleranza. «Ero andato alla stazione di Pescara per attaccare un avviso della messa, scritto naturalmente in lingua romena, ma non appena mi sono voltato il foglietto è stato strappato da una persona adulta. Una cosa del genere non mi era mai accaduta».
La messa comincia alle 15,36 con un canto accompagnato dall'organo suonato da Giovanni, mentre padre Roberto, francescano minore come Eusebiu, è nel confessionale a raccogliere gli ultimi pentimenti. «E' italiano, ma conosce la lingua romena», spiega padre Bonaventura Febbo, parroco di Sant'Antonio. I fedeli presenti alla messa in lingua romena sono una cinquantina. Tra i banchi della chiesa di via Sabucchi siedono solo otto uomini e tre bambini. Per il resto sono tutte donne. Belle ragazze, di età compresa tra i 20 e i 40 anni. Hanno i capelli legati, vestono con giubbotti di pelle e jeans. Tre donne più attempate, intorno alla sessantina, indossano i cappotti. Qualcuna possiede borse firmate. Si capisce che lavorano tutte. Badanti, commesse, segretarie. Tra gli uomini due muratori e un autotrasportatore. Due le famiglie al completo: padre, madre e figlio o figli che non hanno più di 6-7 anni, nati sicuramente a Pescara. Alcune ragazze sedute sul lato sinistro della chiesa si scambiano sorrisi con un'amica che si è sistemata con la madre nel banco centrale. Saranno gli unici sorrisi catturati nel corso della serata.

«Questa è una giornata molto diversa rispetto alle altre domeniche», ammetterà dopo la cerimonia religiosa padre Eusebiu. «C'è molta preoccupazione anche nella comunità romena pescarese dopo i fatti di Roma, per questo motivo oggi sono venuti in pochi a messa. Ma oltre alla scarsa partecipazione il timore si avverte dalla mancanza di sorrisi, dal modo di parlare, dal tono sommesso dei canti. Oggi non c'è gioia, per questo ho cercato di tirare su loro il morale e dare conforto con le sacre letture e con l'omelia».
Dopo un suggestivo «Kiriè» e la professione del Credo c'è la lettura dei testi sacri. Si canta molto, e anche la lettura del Vangelo secondo Luca fatta da padre Eusebiu all'inizio sembra quasi un'aria mozartiana. Il parroco romeno di Sant'Antonio legge l'incontro di Gesù Cristo con Zaccheo, il ricco capo dei pubblicani e grande peccatore in casa del quale Gesù volle andare a pranzo. «A proposito degli episodi di criminalità che hanno per protagonisti alcuni romeni anche qui in Abruzzo, nell'omelia ho detto che i mass-media non si interessano delle cose buone che vengono compiute quotidianamente», prosegue padre Eusebiu. «Difficilmente qualcuno racconterà sui giornali l'importanza di quello che fa una badante, ma questo non deve rattristarci, anzi: deve essere la consapevolezza della presenza del male a farci comprendere che occorrono tanto amore e tanta fede per seguire la strada del Signore».