"Nella mia Confindustria anche una suora"

Il nuovo presidente Spinosa Pingue apre alla società civile e chiede meno burocrazia

PESCARA. Fabio Spinosa Pingue è il nuovo presidente degli industriali della provincia dell’Aquila. Succede dopo 4 anni a Sergio Galbiati, direttore generale Micron. Pingue è carico di idee ed entusiasmo. Gli abbiamo chiesto da dove intende iniziare.

Presidente, qual è la prima cosa che vuole fare e qual è il programma con il quale si appresta ad affrontare questo compito?

«Voglio contaminare un ambiente, fino ad oggi legato esclusivamente all’impresa, con l’influsso della società civile individuando alcune figure esterne di invitati permanenti in seno al nostro consiglio direttivo; tra queste una suora come rappresentante di un’organizzazione impegnata nel sociale. Ho presentato una Confindustria rosa ampliando la composizione a diverse donne imprenditrici Tra l’altro provengo da una famiglia “matriarcale”, financo il mio cognome è cambiato, e ben conosco la qualità e la sensibilità del mondo femminile. Contaminazione, territorio, senso di responsabilità e legalità sono i punti cardine del mio mandato di presidente».

Da presidente dei giovani industriali, in riferimento alla burocrazia, aveva detto stop allo stipendificio e condiviso le misure adottate dalla Regione su sanità, crisi economica, ricostruzione: alla luce delle ultime disposizioni, è della stessa idea? Che cosa c’è da fare?
«Terremoto, ristrettezza di finanza pubblica e situazione internazionale costituiscono una grande opportunità per recuperare vent’anni di ritardo ed è un’occasione storica per riqualificare la spesa pubblica. Se a questo aggiungiamo la voragine del debito sanitario, che conferma la “contabilità omerica” di Tremontiana memoria, mi chiedo che cos’altro deve capitarci per far si che tutti prendano consapevolezza che siamo di fronte ad un autentico tsunami. Chiodi ha in mano un’occasione straordinaria per passare alla storia e con lui l’intera regione. Il governatore, da statista come “sta studiando”, sa cogliere momenti ed occasioni per trascurare il particolare e guidare, assieme al presidente Pagano e a quella parte di opposizione illuminata che sta dimostrando un grande senso di responsabilità, una new deal per dotare il patto tra le associazioni datoriali e sindacali - per la prima volta nella storia di questa regione tutte le sigle condividono lo stesso tavolo - di una “cornice” che solo la politica può conferirle. Una cornice che abbia un’anima in grado di scuotere le coscienze delle persone, di valorizzare il virtuosismo e il senso di responsabilità presente nelle associazioni, per condividere un progetto di riqualificazione straordinaria della spesa pubblica regionale. Ciò creerà una miscela esplosiva in grado di ammodernare questa regione e proiettarla definitivamente tra quelle più competitive. Diversamente, tireremo a campare assistendo ad un lento, forse non troppo lento, inesorabile declino. In tempi di guerra, e quella attuale è di fatto una guerra moderna, ognuno si chiude sempre di più amplificando, di fatto, gli egoismi e mettendo a serio rischio la coesione sociale e l’equilibrio regionale. Non saper cogliere questa occasione è come buttare polvere sotto il tappeto»

Per la ripresa dell’attività produttiva dell’Aquila, quali sono le misure più urgenti? Qual è il suo giudizio sulla ricostruzione?
«Ad una straordinaria fase di gestione dell’emergenza, gestita dalla “macchina da guerra” della Protezione civile, della quale dobbiamo essere orgogliosi, debbo purtroppo registrare una non altrettanto efficace gestione nella fase della ricostruzione. L’eccessiva burocrazia e l’estrema litigiosità delle Istituzioni hanno di fatto paralizzato il sistema. I centri storici, e direi anche le periferie, sono ancora macerie, rovine e puntellamenti. Moltissime imprese ancora non ricevono il ristoro dei danni».

Quanto è importante la Zona franca?
«La Zona franca è una priorità imprescindibile sulla quale purtroppo, stranamente, non si registrano concreti passi in avanti. Il mio timore è che ancora una volta non si ha il coraggio di ammettere la mancanza di risorse finanziarie. Paradossalmente registriamo la disponibilità di tante aziende pronte a investire che comunque restano in attesa della definizione delle provvidenze economiche. Il comitato attività produttive ha consegnato alle autorità un corposo e puntuale elaborato con tutte le richieste necessarie ad una ripresa delle attività, ivi compresa la richiesta di aumentare il limite del de minimis che favorirà le imprese già presenti».

L’ultimo dato sull’export dà l’Abruzzo in ripresa trascinato dagli autoveicoli Sevel, il terzo posto è occupato dall’estrazione dei minerali: siamo all’uscita della crisi? E come l’Abruzzo dovrebbe conciliare la sua immagine di Regione dei parchi e del turismo con l’attività estrattiva?
«La “mia” Confindustria sarà una Confindustria molto verde. Pensi che ieri, come segno tangibile, abbiamo iniziato la raccolta differenziata in tutti i nostri uffici; avviato un progetto di green marketing che prevede, tra l’altro, l’utilizzo di carta riciclata, il miglioramento della nostra comunicazione all’insegna del rispetto dell’ambiente e dell’ecosostenibilità. Istituiremo un premio annuale per la migliore impresa sostenibile e spingeremo all’uso di fonti di energia rinnovabile. Abbiamo individuato un invitato permanente che ha coniugato in maniera esemplare l’ambiente con la valorizzazione delle risorse locali. Vogliamo rispettare la vocazione del territorio da intendersi comprensivo dell’uomo con tutte le sue inclinazioni, peculiarità e specificità. La storia dell’Abruzzo dimostra che l’industria cosiddetta impattante, il rispetto dell’ambiente, l’agroalimentare di qualità che conquista i palati del mondo intero, possono coesistere a patto che l’imprenditore sia disposto a guadagnare meno. Su questo la nuova Confindustria si impegnerà a fondo svolgendo un ruolo di garanzia. Io, del resto, sono un imprenditore agroalimentare certificato biologico. Da qualche anno sostengo che la crisi non passa semplicemente perché non è una “crisi”. Sono i dolori fortissimi di un parto che ci sta portando all’inizio di un nuovo mondo, dove poco o nulla sarà come prima».

In queste settimane sul Centro
si è dibattuto sulla grande Pescara: lei aveva ipotizzato la città-regione, qual è il suo parere?
«Vedo l’Abruzzo, una regione di appena 1 milione e 200mila abitanti, come un unicum, ossia un’area urbana policentrica regionale, che abbatta i deleteri campanilismi ed enfatizzi i virtuosi localismi. Con la consapevolezza che per crescere bisogna essere disposti a perdere qualcosa e quindi al posto di limitarci tutti a produrre prevalentemente “merce mediatica” sulle diverse dobbiamo concentrarci su cosa siamo disposti a perdere e/o rinunciare per costruire una regione moderna che non può più permettersi il lusso di vivere in un mondo “drogato” che ha prodotto un debito pubblico regionale dalle centinaia società pubbliche. A cominciare dalla voragine della sanità».

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