Niko Romito, la cucina della semplicità

Lo chef di Rivisondoli racconta i suoi segreti mentre si prepara a sbarcare a New York

 PESCARA. Ha due Stelle della Guida Michelin e tre Cappelli della Guida dell'Espresso, a 36 anni è uno degli chef più in ascesa della nuova cucina italiana, ma quando gli prende il morso della fame e ha poco tempo a disposizione, Niko Romito confessa di cedere alla tentazione: «Mi mangio la mozzarella con il ketchup sopra». E' uno di quei piaceri inconfessabili, che si chiamano guilty pleasures in inglese, una lingua con cui il cuoco del ristorante Reale di Rivisondoli avrà molto a che fare da martedì prossimo.

 Dal 12 al 15 ottobre, infatti, Romito parteciperà a un summit di grandi cuochi italiani a New York, nello spazio di Eataly (che si può tradurre così: Mangitalia), quattromila metri quadrati sulla Nona strada nel cuore dell'isola di Manhattan. Il format è quello di Identità Golose, nato nel 2005 in Italia, da un'idea del giornalista Paolo Marchi, ed esportato con successo. L'obiettivo è quello di presentare al mondo i nuovi grandi protagonisti della cucina creativa italiana. Con il giovane e talentuoso chef abruzzese ci saranno Ugo Alciati, Luca Montersino e Davide Scabin dal Piemonte, Emanuele Scarello dal Friuli Venezia Giulia, Massimo Bottura dall'Emilia Romagna, Moreno Cedroni dalle Marche, Cristina Bowerman da Roma, Gennaro Esposito da Napoli, Pietro Zito dalla Puglia e Pino Cuttaia dalla Sicilia. Ognuno proporrà un piatto a una platea di esperti di cui faranno parte i rappresentanti internazionali più importanti dei media che si occupano di cibo e cucina.
 Fresco di promozione nell'olimpo dei tre cappelli della Guida dell'Espresso (che gli ha anche assegnato il premio Pranzo dell'anno) e a pochi giorni dalla partenza per l'America, ieri, Niko Romito ha fatto visita alla redazione del Centro a Pescara parlando del suo mestiere, dei sapori dell'Abruzzo e dell'arte di conciliare tradizione e modernità.

 Cosa preparerà di buono a New York?
 
«Il mio Assoluto di cipolle con zafferano e parmigiano. L'idea è quella di portare una spezia, come lo zafferano, che rappresenta molto l'Abruzzo. Il mercato americano ama molto lo zafferano. Tanto per capirci, nel cartone animato Ratatouille, l'unica spezia che il topolino-cuoco citava era proprio lo zafferano dell'Aquila».

 Come è iniziata la sua avventura di chef?
 
«Nel 2000, nel ristorante di famiglia a Rivisondoli abbiamo cominciato mia sorella Cristiana e io. In questi dieci anni siamo cresciuti molto. Adesso siamo una squadra di 12 persone per 25 coperti».

 Quando c'è stata la svolta nella sua carriera?
 
«Con la prima Stella Michelin nel 2007. Poi, da lì sono arrivati tanti altri riconoscimenti, con la spinta finale della seconda Stella Michelin, che abbiamo ottenuto nel 2009 entrando così a far parte dei 30 migliori ristoranti italiani. Poi, naturalmente i riconoscimenti della Guida dell'Espresso».

 In questi dieci anni, in che maniera è cambiato il suo modo di fare cucina?
 
«Negli anni, quella del Reale è diventata una cucina molto più diretta, più semplice».

 Che cosa ha tolto dai suoi piatti?
 
«Tutto ciò che era un di più, che non era funzionale a quello specifico ingrediente che volevo mettere in evidenza in un dato piatto. Adesso quando parlano della mia cucina parlano di una cucina semplice, minimale, diretta, sincera».

 Ci sono state fasi diverse della sua cucina come quelle di un pittore?
 
«Sì. Nella fase iniziale, per esempio, era una cucina che voleva colpire, impressionare con tanti ingredienti. Quando rivedo certe foto di miei piatti o certi menu di sette anni fa, penso che oggi non riproporrei più quella cucina, con tutti gli orpelli che mettevo nei piatti. Anche nella presentazione, mentre prima decoravo il piatto con l'intento di colpire l'immaginazione del cliente, oggi invece faccio la decorazione solo perché voglio che sia mangiata non per puro abbellimento».

 Asciugare lo stile in cucina cosa significa?
 
«Vuol dire non bluffare. La mia cucina è talmente concreta che non si può bluffare nella materia prima impiegata e nelle preparazioni. Se faccio un piatto con due elementi, come per esempio lo zafferano e le cipolle, devo avere il miglior zafferano e le migliori cipolle, perché sono questi i protagonisti. Nella preparazione del piatto sono fondamentali l'ingrediente e la tecnica. Una tecnica non fine a stessa, ma mirata a mettere in evidenza l'ingrediente. Se, però, non ho la tecnica non riesco a trasformare la materia prima in quello che la mia testa ha immaginato».

 Quando e come le viene l'ispirazione per un nuovo piatto?
 
«Non ci sono momenti ben definiti. Le idee ti possono venire viaggiando, conoscendo nuove cucine, ma anche mangiando una cosa semplice a casa di un amico. Un piatto assaggiato così ti può dare lo spunto per una variazione. Come è accaduto nel caso di un piatto che abbiamo avuto in menu fino alla settimana scorsa: la tagliata di melanzana glassata. L'idea era nata, un pomeriggio, mangiando a casa di un amico la classica parmigiana di melanzane. Ho pensato: perché non creare un piatto con il gusto della parmigiana ma con una consistenza diversa, trasformando la melanzana, non dandola come sottile, grigliata, ma come un pezzo molto alto con una struttura che ricorda la carne, il filetto».

 Quali sono gli elementi tipicamente abruzzesi della sua cucina?
 
«E' il modo in cui interpreto la cucina. Una cucina di sapori che non fa compromessi, una cucina forte, di terra. Però, allo stesso tempo, cerco di proporre in chiave moderna quegli ingredienti rivisitandoli e alterandoli».

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